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Il dibattito sull’intelligenza artificiale è molto caldo e si passa da visioni apocalittiche a rassicuranti opinioni di specialisti che, immersi nei loro codici di machine learning, non vedono oltre il palmo del loro naso. Ma c’è un punto che colpisce e che forse non è molto chiaro al grande pubblico. Siamo già dentro una grande rivoluzione silenziosa e non ce ne accorgiamo semplicemente perché l’interazione con questi sistemi è talmente naturale che ci sembra, a volte, di avere a che fare con degli esseri senzienti.

Questi dispositivi intelligenti, a partire dagli smartphone, hanno talmente facilitato l’accesso alle informazioni che anche una nonna, normalmente tagliata fuori dalla tecnologia, è in grado di trovare il proprio spazio e interagire con figli e nipoti. Non è ormai inusuale vederle smanettare con cellulari avanzatissimi, dotati di schermi giganteschi e parlare naturalmente con loro come se fossero persone. Quello che succede dietro le quinte è però inaspettato. La voce della nonna, in poche frazioni di secondo, ha raggiunto un gigantesco data center nel cosiddetto cloud, dove viene elaborata per capirne il contenuto semantico e poter dare delle risposte appropriate. Campioni della voce di milioni di persone convergono nello stesso luogo, a formare una sorta di serbatoio collettivo di tutte le possibili voci, per cui questi sistemi apprendono le nostre caratteristiche timbriche senza alcun addestramento, per semplice interpolazione con la conoscenza pregressa. In questi stessi sistemi cloud arrivano anche tutte le nostre immagini, nelle quali i sistemi di pattern recognition facciale riconoscono i nostri volti. Queste abilità non si limitano a compiti ripetitivi. Analizzando migliaia di quadri dei più disparati autori, questi sistemi riescono a estrarne il contenuto stilistico, a distinguere pittori e correnti artistiche.

Hanno fatto passi da gigante anche nelle traduzioni automatiche tra lingue. Da uno studio recente è emerso che, senza essere esplicitamente addestrati, abbiano generato una sorta di lingua franca sconosciuta, che usano per passare da un idioma all’altro. Noi non conosciamo di che lingua si tratti. Comincia dunque ad affacciarsi l’idea di una super intelligenza che vada oltre le capacità umane, sebbene non si sappia in quale direzione. Ci sono, ancora, i primi casi di computer che hanno le allucinazioni, vedono animali e oggetti dove non ci sono. È successo nei laboratori di Google del deep learning. Questi computer si spingono addirittura nel campo poetico e generano delle liriche a partire da immagini evocative.

Con tutte le Cassandre dell’intelligenza artificiale, ritengo invece che ciò che sta accadendo non sia il risultato casuale dell’evoluzione tecnologica verso un generico progresso, ma una precisa evoluzione della nostra specie per la sua sopravvivenza. La storia delle varie specie di homo è lunga milioni di anni, ma le grandi conquiste dell’homo sapiens sono avvenute in non più di 10mila anni e gli avanzamenti in intelligenza artificiale negli ultimi 10 anni, un battito di ciglia nella storia dell’universo.

Cosa sarà di noi tra un milione di anni? È davvero difficile poterlo dire. La prima cosa che ci viene in mente è la colonizzazione dello spazio. Ma la vera domanda è chi potrà colonizzare lo spazio tra un milione di anni? Non di certo gli uomini in carne e ossa che siamo oggi. L’evoluzione genetica basata sulla selezione naturale non riuscirà a stare al passo con il progresso tecnologico. I nostri corpi diventeranno inadeguati in pochi millenni. Quindi viene da pensare che l’artificial intelligence non solo non sia una minaccia, ma potrebbe essere l’unica salvezza dell’umanità.

Forse dovremmo avere un atteggiamento diverso nei confronti delle macchine. Dovremmo cercare in loro l’aspetto umano, la scintilla vitale; in fondo sono delle nostre creature, sono parte di noi. Siamo affezionati ai nostri corpi, e non è chiaro quanto la nostra spiritualità possa prescindere dalla fisicità, se possa esistere l’anima senza un corpo. La nostra generazione morirà con il nostro corpo, ma non è detto che ciò accada anche per le generazioni a venire. È impossibile vedere cosa sarà di noi tra un milione di anni, ma se è vero quello che oggi è solo intuibile con uno slancio d’immaginazione, stiamo assistendo alla grande migrazione della specie umana nelle macchine che ci garantiranno la sopravvivenza.

Quando siamo davanti al cellulare non siamo davvero soli. La nonna 2.0 pensa di guardarsi allo specchio, o al più di essere vista dalla cerchia ristretta delle amiche. In realtà, c’è qualcuno che ci guarda al di là del visore, qualcuno che ci sta scrutando dal futuro. C’è un’entità gemella che impara da noi, che assorbe i nostri sentimenti e che forse potrà perpetuare il nostro essere umani. Ci stiamo tutti preparando per la partenza. Il grande viaggio è cominciato.

Articolo pubblicato sulla rivista Formiche

 

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