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Le rassegne stampa in diretta Facebook, le pagine renzianissime, una galassia di siti, i video virali, le foto (non sempre) sapientemente utilizzate per enfatizzare le contraddizioni o le gaffe degli avversari (soprattutto i grillini) e per esaltare le iniziative dei propri esponenti. E, poi, anche un’app dal nome Pd Bob, per favorire la partecipazione alla vita del partito e, perché no, immagazzinare pure dati preziosi, a partire dal nome e dall’indirizzo email di chi decida di scaricarla e accedervi.

Dopo la batosta del referendum costituzionale, i dem hanno cominciato a fare sul serio con Internet, anche per ovviare all’evidente gap accumulato in questo campo rispetto ai loro principali avversari. E per poter rispondere, così colpo su colpo, al MoVimento 5 Stelle, che sulla rete è nato ed è cresciuto grazie alla forza di Beppe Grillo e del suo blog e alla regia di Gianroberto Casaleggio prima e di Davide dopo. Una strategia dettata da Matteo Renzi in persona, che nel corso della campagna referendaria ha potuto toccare con mano la differenza di competenze e di radicamento sulla rete, al punto di arrivare spesso a lamentarsene. Sia privatamente, che pubblicamente. Come ha fatto anche non più di un mese fa nel corso dell’assemblea nazionale del Pd: “Abbiamo un problema con il web che è diventato un incredibile luogo dove noi non siamo stati protagonisti“.

Fotografia condivisa dall’attuale capo dell’Ufficio del presidente del Consiglio Antonio Funiciello, che negli ultimi 15 anni ha ricoperto ruoli apicali nella comunicazione (e non solo) della Margherita prima e del Partito democratico dopo, portavoce e consulente di Luca Lotti durante i 1.000 giorni del governo Renzi. Ieri – nel corso della presentazione del libro scritto dal deputato di Forza Italia Antonio Palmieri su internet e comunicazione politica (qui le foto firmate Umberto Pizzi) – Funiciello sull’argomento non ha lasciato spazio a dubbi o intepretazioni: “Il Pd ha cominciato molto in ritardo a organizzare la sua presenza sul web”. E anche nella raccolta dei big data, divenuti ormai imprescindibili per qualsiasi forza politica che ambisca a radicarsi tra i cittadini e a raccogliere e gestire il loro consenso.

Una debolezza – ha raccontato ancora Funiciello – rivelata in tutta la sua evidenza da quanto accaduto con le primarie che il Pd organizza fin dai tempi del secondo governo di Romano Prodi. In tutti questi anni milioni e milioni di elettori si sono recati ai gazebo per votare il loro candidato preferito, ma di quel formidabile bagaglio di informazioni non è rimasto praticamente nulla: “In più di dieci anni di primarie non abbiamo avuto l’intelligenza di creare i big data del Partito democratico. Non so neppure dove siano finiti ora tutti quei dati“.

Lacuna che deve aver destato notevole perplessità in Jim Messina, il grande esperto di comunicazione politica che nel 2012 ha curato la campagna per la rielezione di Barack Obama alla Casa Bianca e che l’anno scorso Renzi aveva voluto fortemente ingaggiare per cercare di vincere la sfida del referendum costituzionale. La circostanza l’ha resa nota lo stesso Funiciello ieri al Centro Studi Americani. “Fatemi vedere i dati che avete archiviato in tutti questi anni di primarie“, ha chiesto Messina al suo arrivo a Roma. Ma – come ha sottolineato ancora il capo dell’Ufficio di Paolo Gentiloni – di dati da sottoporgli ce ne erano ben pochi.

Ecco il perché dell’accelerazione degli ultimi mesi. Con l’obiettivo di non lasciare ai pentastellati (e agli altri partiti) le sterminate praterie che il web, per sua natura, offre alla politica.

Cosa farà il Pd di Matteo Renzi sul web e con i big data

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