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Ha dichiarato nei giorni scorsi Gabrielius Landsbergis, ministro degli Esteri lituano, commentando le notizie di operazioni di sabotaggio – alcune sventate, altre riuscite – che avrebbe compiuto l’intelligence russa in Europa negli ultimi mesi: “Se un Paese assume qualcuno per bruciare edifici in un altro Paese, non si tratta di un ‘attacco ibrido’, ma di terrorismo di Stato”.

Errore da matita blu. Anzi, errori. Tre, per la precisione.

Primo: il concetto di “attacco ibrido” è intrinsecamente sbagliato essendo ibrida la minaccia (o la campagna). Ovvero quell’insieme di attività che possiamo sintetizzare come puntini da collegare per ottenere la figura completa alla luce delle loro caratteristiche: sono, cioè, condotte su diversi domini (anche ma non soltanto cyber), da attori non sempre “classici” (come aziende, media e diaspore all’estero utilizzati come proxy), sono anche facilmente negabili, sempre un gradino sotto la soglia del conflitto armato, e soprattutto coordinate. Secondo errore, che nasce dal primo, quello concettuale: nei casi in oggetto, si tratta tuttalpiù di un attacco che fa parte di una campagna ibrida. Terzo errore: la confusione tra il terrorismo (che ha una matrice politica e colpisce la popolazione civile) e le operazioni di sabotaggio.

Ancora diverso è il caso degli assassinii mirati. Come quello, rivelato dall’emittente americana Cnn, che sarebbe stato pianificato dall’intelligence russa e sventato da quelle di Stati Uniti e Germania contro Armin Papperger, amministratore delegato e presidente dell’azienda tedesca produttrice di armi Rheinmetall. Con sede a Düsseldorf, la società è tra i maggiori produttori di proiettili da 155 millimetri, considerati decisivi nella guerra tra Ucraina e Russia. Inoltre, ha in programma l’apertura di uno stabilimento di produzione dei veicoli blindati in Ucraina, che le autorità russe nei mesi scorsi hanno promesso di distruggere.

Il Consiglio di sicurezza nazionale degli Stati Uniti non ha commentato i dettagli. Ma la portavoce Adrienne Watson ha dichiarato che il governo sta prendendo “estremamente sul serio l’intensificazione della campagna di sovversione della Russia. Gli Stati Uniti hanno discusso la questione con gli alleati della Nato”, ha aggiunto. “Stiamo lavorando attivamente insieme a loro per denunciare e interrompere queste attività”. E ancora: “Abbiamo certezza del fatto che le azioni della Russia non dissuaderanno gli alleati dal continuare a sostenere l’Ucraina”.

Perché proprio questo è l’obiettivo di queste attività che si sono intensificate negli ultimi mesi da parte dell’intelligence russa – che il più delle volte assolda membri delle organizzazioni criminali “locali”, probabilmente sia per assicurarsi un maggior grado di deniability sia per necessità, considerate le molte espulsioni che hanno ridotto i corpi diplomatici russi in Europa dopo l’invasione dell’Ucraina.

Anche la risposta russa ai sospetti occidentali rientra nella campagna ibrida che ha l’obiettivo di dividere il fronte che sostiene l’Ucraina: “Nient’altro che isteria russofoba”, ha dichiarato Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, in un’occasione che riassume perfettamente la linea di Mosca.

Ecco perché unire i puntini è fondamentale per comprendere la minaccia e preparare una risposta che non può che essere, per dirla con gli anglosassoni, whole-of-society oltreché whole-of-government. Resta da capire se, in quel gioco di specchi che è lo spionaggio, dare pubblicità alle operazioni di sabotaggio e agli assassini mirati sventati sia un punto per chi difende o un altro tassello della campagna ibrida di chi attacca.

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