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Come si è visto in Gran Bretagna, nemmeno l’uninominale secco garantisce di sapere chi governerà il giorno dopo il voto. L’unico meccanismo che lo consentirebbe è il ballottaggio, ma è stato bocciato dalla Corte Costituzionale. Bene, anzi male. Perché, dopo la delirante rottura dell’accordo raggiunto dai maggiori partiti sul modello simil-tedesco, si ricomincia da zero. Più precisamente, nell’eterno gioco dell’oca in cui ormai si diletta la politica italiana, si riparte dalla famigerata “omogeneizzazione” fra i sistemi elettorali delle due Camere, di cui si parlò all’indomani della sentenza sull’Italicum emessa dalla Consulta nel gennaio scorso. Ora, se qualcuno pensa che adesso basti un decreto o una leggina da approvare in un giorno per mettere a posto le cose, credo che cadrebbe in errore. È sufficiente dare un’occhiata ai due cosiddetti Consultellum per rendersene conto. Proviamo a riassumerli brevemente.

Al Senato vige un sistema proporzionale puro, senza premio di maggioranza e senza capilista bloccati. Per accedere alla ripartizione dei seggi, la soglia – su base regionale – è dell’8 per cento per le liste non coalizzate e del 3 per cento per le liste coalizzate (sempre che la la coalizione superi il 20 per cento). È prevista la preferenza unica. Ogni collegio corrisponde a una regione, il che rende difficile e onerosa la caccia alle preferenze in quelle più popolose.

Alla Camera vige un sistema proporzionale con un premio di maggioranza alla lista che supera il 40 per cento (il bonus consente di arrivare a quota 340 seggi). In caso di mancato raggiungimento di tale soglia, si passa al riparto proporzionale dei seggi tra tutti i partiti che hanno superato il 3 per cento. Non solo. Non è prevista la possibilità per le liste di collegarsi in coalizione. Il premio può andare perciò solo alla singola lista.

Una volta stabiliti quanti deputati spettano complessivamente su base nazionale a ciascuna lista, attraverso un complicato algoritmo i seggi vengono attribuiti su cento collegi plurinominali (a ciascun collegio è assegnato un numero di seggi compreso tra tre e nove), dove restano i capilista bloccati. Ogni lista è composta perciò da un candidato capolista e da un elenco di candidati. L’elettore può esprimere fino a due preferenze per candidati di sesso diverso (“doppia preferenza di genere”) tra quelli che non sono capilista.

Solo questi ultimi possono essere candidati in più collegi (al massimo dieci). I giudici costituzionali hanno però bocciato la facoltà per il capolista eletto in più collegi di scegliere a sua discrezione il proprio collegio d’elezione (lasciando il posto al primo più votato), sostituendola con l’obbligo del sorteggio.

Angelino Alfano e i leader dei partiti minori hanno esultato dopo l’inciampo parlamentare della legge fraudolentemente chiamata tedesca. Ma sono sicuri che la possibilità di coalizzarsi e quella soglia di sbarramento al 3 per cento che ora fanno leccare loro i baffi saranno la stella polare della futura legge elettorale? Fossi in loro, avrei qualche dubbio.

Chi vivrà vedrà. Resta il fatto che quanto è accaduto a Montecitorio è un duro colpo per il Pd, e per Matteo Renzi in particolare. Non convince, infatti, il tentativo di far ricadere sui pentastellati la responsabilità della rottura del patto quadripartito. È vero, Beppe Grillo ha fiutato l’aria e ha fatto   marcia indietro, ma i suoi voti non erano per nulla indispensabili. La differenza l’hanno fatta i franchi tiratori del Pd. Un dato che rende evidente le difficoltà crescenti che incontra il segretario di Largo del Nazareno nel tenere in pugno partito e gruppi parlamentari.

Insomma, come ha scritto Enrico Cisnetto sul quotidiano on line Terza Repubblica, Renzi ha sbagliato nuovamente mossa e si è ulteriormente indebolito. Consentendo peraltro a Grillo di uscire da una situazione in cui, a fronte della legittimazione come forza responsabile che finalmente condivide con le altre l’onere della governabilità, si era pericolosamente – per lui – reso simile ai partiti tradizionali, rischiando quindi di non essere più credibile nel recitare il solito rosario anti-sistema. E regalare la verginità a chi sarà il tuo nemico in campagna elettorale, è un errore che rischia di rivelarsi esiziale.

In un’intervista al Corriere della Sera Renzi smentisce recisamente l’idea di far cadere anticipatamente il governo Gentiloni, ma purtroppo smentisce anche – mi è parso di capire – la volontà, una volta lasciato sedimentare il polverone, di provare a costruire un nuovo accordo. Magari avendo cura di rendere davvero teutonico il testo di legge, sia introducendo il voto disgiunto e le preferenze, sia facendo propria la proposta del capogruppo dei senatori democratici Luigi Zanda, per giunta benedetta da un luminare del diritto pubblico come Sabino Cassese, che mira a rendere  meno facile le migrazioni tra gli scranni parlamentari e a introdurre l’istituto della sfiducia costruttiva (caratteristica fondamentale del sistema tedesco) senza bisogno di toccare la Carta, ma semplicemente modificando in pochi punti i regolamenti parlamentari.

 

Renzi

Caro Matteo Renzi, così non va

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