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C’è un circolo vizioso intorno al quale si sta avviluppando la politica: c’è un problema immigrazione per il quale ogni partito ha una sua ricetta; il governo punta all’integrazione ben sapendo, però, che finché il fenomeno non sarà davvero sotto controllo l’integrazione è molto difficile; il ministro dell’Interno da un lato invoca la solidarietà nazionale contro terroristi e trafficanti e dall’altro insiste (come il suo partito) sullo Ius soli; un importante esponente del Pd difende la legge sullo Ius soli e subito dopo ammette che in effetti va corretta; nel frattempo al Senato si discute la legge sulla deradicalizzazione (della quale non parla nessuno) che servirà proprio a individuare chi si nasconde nel mucchio, non ha intenzione di integrarsi ed è potenzialmente pericoloso; e così si ricomincia da capo: c’è un problema immigrazione.

In una campagna elettorale che, complici le elezioni siciliane del 5 novembre, è in atto da tempo e durerà fino alla primavera, è quasi impossibile distinguere le proposte sensate e applicabili da quelle che mirano solo a raccogliere voti. È sempre stato così. Il Pd è costretto a giocare su due tavoli: il lavoro di Marco Minniti sulla Libia e sull’immigrazione sta ottenendo dei risultati che gli portano consensi anche da destra (se gliel’avessero detto vent’anni fa…), ma nello stesso tempo il ministro dell’Interno insiste perché la legge sullo Ius soli venga approvata entro questa legislatura. La sua tesi è che un conto sono gli sbarchi, un altro gli immigrati che già vivono qui: una tesi che, giusto o sbagliato che sia, gli fa perdere i consensi guadagnati. Naturalmente Minniti è solo uno degli esponenti di spicco del Pd a ragionare pubblicamente in questo modo: l’approvazione dello Ius soli è la linea ufficiale della segreteria di Matteo Renzi anche se tutti sanno che sarà impossibile raggiungere l’obiettivo,  a maggior ragione dopo lo smarcamento del partito di Angelino Alfano.

Nell’intervista al Corriere della Sera del 1° ottobre Minniti auspica una solidarietà nazionale contro terroristi e trafficanti di esseri umani e ammette che un obiettivo fondamentale è aiutare il cittadino a sconfiggere la paura perché “non si può far finta che non esista”. Evitando paragoni improbabili con la solidarietà nazionale degli anni Settanta, l’appello a un’unità di intenti della politica e quindi della società su temi così complicati che ci riguarderanno per molti anni è tanto opportuno quanto in contraddizione con la realtà: come si possono affrontare “in solido” temi su cui la politica si spacca? L’unità contro il terrorismo degli anni di piombo fu vincente perché tutti la pensavano allo stesso modo, oggi invece quella paura di cui parla Minniti nasce da una presenza massiccia di immigrati che spesso, purtroppo, non hanno la minima intenzione di integrarsi.

E qui arriviamo allo Ius soli e allo Ius culturae. Due autorevoli editoriali di Ernesto Galli Della Loggia sul Corriere hanno buttato un macigno nello stagno dell’ipocrisia riguardo all’opportunità di quella legge in questa fase politica e al merito di alcuni punti della stessa. Un elemento interessante e dibattuto è la possibilità che, grazie allo Ius culturae, un ragazzo nato in Italia o arrivato entro i 12 anni e che abbia completato un ciclo di studi di 5 anni possa ottenere la cittadinanza se anche uno solo dei genitori, che parli italiano, presenta la domanda relativa: la famiglia deve comunque avere un alloggio idoneo e godere di un reddito almeno equivalente all’assegno sociale. L’applicazione pratica è che una famiglia di stretta osservanza musulmana (di questo si tratta) nella quale solo il padre parli un italiano accettabile, perché le madri quasi mai si integrano e fanno vita sociale, possa far diventare italiano un figlio minorenne. Galli Della Loggia a Otto e mezzo il 30 settembre ha argomentato le sue obiezioni discutendo con Emanuele Fiano (Pd). E’ la madre il punto di riferimento dei figli e non importa se parli o meno l’italiano né è necessario che siano entrambi i genitori a presentare la domanda? Fiano, in difficoltà, ha ammesso che la legge si può correggere.

Dunque, dopo mesi di discussione si scopre che la legge è perfettibile. Ma in quel dibattito Fiano ha accennato a un altro problema: proprio perché i servizi sociali oggi non sembrano in grado di seguire adeguatamente certe realtà familiari “stiamo discutendo la legge sulla deradicalizzazione”, la Manciulli-Dambruoso, fondamentale per riorganizzare lo Stato in varie sue articolazioni, dalla scuola alla sanità, per fare prevenzione vera. Forse i partiti di governo non si sono posti domande banali e speculative sul fronte elettorale: non sarebbe stato meglio fare pubblicità a questa legge anziché allo Ius soli? I cittadini non sarebbero più interessati a conoscere meglio il mondo intorno a loro e quindi a collaborare alla prevenzione anziché vedersi imporre una normativa che, lo si voglia o no, alla grande maggioranza degli italiani non piace? L’integrazione alla quale prima o poi bisognerà arrivare non sarebbe più facile più in là, dopo che la legge sulla deradicalizzazione abbia sortito i primi effetti? Domande forse banali, che la politica non si è posta.

 

 

Vi racconto il corto circuito della politica fra migranti, Ius soli e legge Manciulli-Dambruoso

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