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“La procedura di infrazione della Commissione europea per il dieselgate di Fca? Sconcertante”. Lo dice Corrado Clini, ex ministro dell’Ambiente nel governo Monti.

Già a gennaio, su Formiche.net, Clini aveva preannunciato la notizia diventata ufficiale nei giorni scorsi: la decisione di Bruxelles di avviare una procedura di infrazione contro l’Italia, come già aveva fatto a gennaio con la Germania. Sotto accusa sono finite le procedure di omologazione di alcuni motori diesel di Fca, le cui emissioni non sarebbero conformi ai regolamenti europei. Una mossa che Clini definisce “singolare per non dire ipocrita. E non finirà qui, faranno la stessa cosa con altri Stati Membri”

L’ex ministro punta il dito contro il regolamento europeo 175 del 2007, che sarebbe l’origine di quello che definisce “un gran pasticcio”. Infatti il regolamento ha stabilito per le auto diesel (Euro 5 ed Euro 6) limiti molto stringenti sia per le emissioni degli ossidi di azoto (NOX) che per i consumi (emissioni di CO2). “ Nelle normali condizioni di esercizio, cioè su strada, il rispetto contestuale dei due limiti è tecnicamente impossibile, qualunque filtro si utilizzi “, afferma Clini.

E perché quel regolamento è stato approvato?

“Perché l’industria automobilistica europea, guidata in buona parte dai tedeschi, insisteva sui motori diesel come tecnologia di riferimento, mentre la demagogia ambientalista (ben rappresentata da alcuni Ministri europei tra i quali distingueva Pecoraro Scanio) richiedeva limiti severi anche se non applicabili.Ma i Ministri e i costruttori europei sapevano bene che limiti severi avrebbero marginalizzato il diesel e spinto l’industria automobilistica verso i motori ibridi.

Così è stato approvato un regolamento “eccentrico” rispetto alle procedure internazionali di omologazione, che dà una copertura ambientalista alla promozione dei diesel : infatti il regolamento prevede che l’omologazione dei veicoli sia effettuata su “banco”, in condizioni molto diverse dall’uso degli stessi veicoli su strada, in modo tale da rispettare i limiti. Insomma un trucco. Ora è paradossale che la Commissione, che di quel regolamento ha avuto la gran parte di responsabilità, apra una procedura di infrazione contro la Germania e contro l’Italia e a breve contro altri paesi perché le auto diesel su strada hanno emissioni di gran lunga superiori a quelle omologate.

Nel 2015 la Commissione Europea avrebbe dovuto avviare subito un’iniziativa urgente per sostenere la riconversione dell’industria europea dell’auto, consapevole che il dieselgate avrebbe segnato la fine della “gloriosa marcia” del diesel nel mercato globale dell’auto e accelerato inevitabilmente le tecnologie “alternative dell’ibrido, elettrico e idrogeno.Le procedure di infrazione aperte dalla Commissione contro Germania e Italia sono puro autolesionismo. A rigor di logica la Commissione avrebbe dovuto aprire una procedura contro se stessa.

Ma in questo contesto surreale è incomprensibile l’atteggiamento della Germania, che dopo la procedura di infrazione ricevuta a gennaio 2017 ha sollecitato la Commissione ad avviarne una anche contro l’Italia.”

A proposito della procedura di infrazione contro l’Italia, viene contestato al nostro paese di non avere accertato che Fca avrebbe “settato” il limite delle emissioni solo per il tempo necessario ai test di omologazione.

“Appunto, una procedura coerente con il regolamento europeo 175”.

Ci si fa concorrenza tramite le procedure di infrazione?

“Penso che dopo le scelte drastiche e costosissime di riconversione adottate da Volkswagen, che è parzialmente pubblica, il governo tedesco abbia deciso di reagire alla procedura di infrazione sollecitando analoghi provvedimenti contro gli Stati Membri produttori di auto diesel. Ma è una scelta sbagliata, e di fondo antieuropea perché non si esce dal dieselgate affondando le industrie dell’auto che non producono in Germania e non godono del supporto pubblico”.

Anche perché la Volkswagen ha contribuito molto al dieselgate.

“Anche se l’origine “strutturale” del dieselgate va ricercata nel regolamento europeo, è evidente che lo scandalo non sarebbe esploso se VW non avesse cercato di entrare nel mercato USA truccando i sistemi di controllo delle emissioni : i test “su strada” effettuati in USA 7 anni dopo l’approvazione del regolamento 175 hanno scoperchiato la pentola dell’ipocrisia europea, ma hanno anche messo una pietra sopra alle ambizioni di espansione nel mercato globale dell’auto del diesel, la “bandiera” dell’industria automobilistica europea”.

Come è possibile che l’Europa non abbia capito le dimensioni e le conseguenze del dieselgate?

“A fronte di questa situazione, la Germania avrebbe dovuto esercitare immediatamente tutta la sua influenza per sollecitare una nuova politica per l’industria europea dell’auto. Ma lo stesso avrebbero dovuto fare gli altri Stati Membri interessati, Italia in primis. Evidentemente i paesi europei si sono illusi che dieselgate fosse un affare solo di VW. Invece la reazione europea si muove su un piano formale e legale, aggravando gli effetti negativi del dieselgate.

La recente iniziativa di revisione del regolamento europeo adottata dalla Commissione Europea (gennaio 2017) non risolve il problema. Infatti, se sul piano formale la proposta riallinea le procedure di omologazione agli standard internazionali, l’effetto pratico sulle emissioni dei motori diesel è l’innalzamento (fino al raddoppio) dei limiti consentiti. Ovvero, stando al rapporto 2016 dell’Agenzia Europea dell’Ambiente che attribuisce ai veicoli diesel la maggiore responsabilità dell’inquinamento dell’aria, possiamo attenderci un’estensione dei divieti di circolazione per le auto diesel peraltro già applicati in molte città europee. Gli effetti sull’industria dell’auto sono intuibili.

Mentre le procedure di infrazione complicano ulteriormente la situazione delle imprese dell’auto, che dovrebbero invece essere sollecitate e sostenute nella riconversione tecnologica”.

È ancora possibile una strategia europea per l’auto?

“E’ evidente che il futuro dell’auto europea è già nel presente delle auto ibride, elettriche e a idrogeno prodotte in Giappone, Corea, Cina, USA. Le industrie europee stanno “ rincorrendo il futuro” in ordine sparso.

Il piano industriale di VW è sicuramente il più imponente, ma ha tempi di sviluppo a 10 anni. Forse troppi per mantenere la posizione attuale nel mercato mondiale dell’auto, anche perché la sfida tecnologica è parallela a quella della produttività : oggi per ogni lavoratore VW vengono prodotte 18 auto, contro le 30 di Toyota. In tempi di Brexit potrebbe emergere la sorpresa degli indiani di Mittal, che hanno programmato la costruzione di nuove fabbriche in Gran Bretagna, con un forte aiuto pubblico, per la produzione di Jaguar e Land Rover elettriche.

Le altre industrie europee sono impegnate nella realizzazione di nuove linee di produzione per veicoli ibridi ed elettrici, che saranno disponibili con volumi significativi in tempi medio lunghi probabilmente non compatibili con la capacità di sostituzione dei veicoli circolanti.

Penso che l’Europa debba adottare un piano urgente per la riconversione dell’industria automobilistica, in grado di sostenere in tempi brevi la competitività dell’intero ciclo dell’auto nel mercato interno e in quello globale”.

Corrado Clini

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