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A interrompere il conto alla rovescia è il colpo di scena di 102 senatori che rappresentano tutti i gruppi parlamentari (fuorché i Cinque Stelle;  loro prenderanno una posizione in queste ore): “No alla cancellazione dei toponimi italiani in Alto Adige. Nessuna decisione venga presa l’8 marzo dalla Commissione dei Sei. Si pronunci la Corte Costituzionale”. I riferimenti sono al testo quasi definito per essere approvato fra cinque giorni a Roma dalla Commissione paritetica Stato/Provincia autonoma di Bolzano detta dei Sei (così paritetica che sono di lingua italiana solo due componenti su sei). “Fermi tutti”. Il richiamo è invece ai dormienti giudici costituzionali sul ricorso promosso nel 2012 dal governo-Monti contro una legge altoatesina che consentiva d’abolire migliaia di toponimi italiani dalla secolare tradizione. Ora la carica dei 102 scuote i Palazzi: la Corte decida, anziché barcamenarsi di rinvio e rinvio richiesti dai governi. Decida, per venire a capo di una vicenda voluta dalla potente e prepotente Svp e subìta dai suoi fragili alleati politici di lingua italiana a Bolzano, ma che neppure doveva essere prospettata tanto è incostituzionale. La risolva “il massimo organo di garanzia della Repubblica e custode riconosciuto dei diritti di tutti”.

Il loro è un appello nell’appello, perché i 102 parlamentari del Pd e di Forza Italia, dell’Area popolare e del Gal, della Lega, hanno condiviso la mobilitazione e le parole dell’Accademia della Crusca e di numerosi e importanti linguisti italiani e stranieri (della Germania, Belgio, Spagna, Polonia e Stati Uniti), che avevano inviato lettere aperte a tutte le Istituzioni: “Salvate i toponimi italiani”. Meglio tardi che mai, se la politica dà ora ragione alla cultura e al diritto. Quel diritto che l’Italia ha riconosciuto con l’Accordo De Gasperi-Gruber del 1946 alla minoranza di lingua tedesca: usare i propri toponimi in modo ufficiale e permanente. Quel diritto che, settant’anni dopo, si vorrebbe invece negare proprio a coloro che te l’avevano riconosciuto, impedendo agli italiani di continuare a nominare nella loro lingua, che è la lingua ufficiale della Repubblica (come confermato dall’esemplare e recente sentenza 42 della Corte Costituzionale), nomi che da un secolo già esistono in versione italiana. Politica immemore e ingrata.

Ma come si spiega, allora, l’altolà dei senatori di maggioranza e opposizione che segna una svolta nell’incredibile vicenda? Forse ai piani alti i politici più avveduti, dopo aver letto il testo che doveva essere approvato l’8 marzo per poi diventare norma d’attuazione di rango costituzionale, si sono resi conto del grave e imbarazzante rischio istituzionale: come si fa, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, a esporre il capo dello Stato alla firma di un testo sulla toponomastica che ignora la legge dello Stato? Non c’è una sola parola in premessa che faccia riferimento al decreto legislativo 179 del 2009, confermato e protetto dalla sentenza della Corte Costituzionale 346 del 2010. Tale decreto è l’unico in vigore nell’ordinamento. I soli nomi oggi “ufficiali” sono quelli italiani. Proprio quelli che si vogliono sradicare. La Provincia di Bolzano non ha ancora esercitato le sue prerogative, che lo Statuto speciale e costituzionale (articoli 101 e 102: pure essi non a caso ignorati) limita alla facoltà di legiferare solo per le dizioni tedesche e ladine dei nomi. Invece di “ufficializzare” i nomi tedeschi e ladini, si prospetta l’impossibile e l’inaccettabile: far fuori gran parte dei nomi italiani.

L’altro punto sconcertante del testo contestato è che, oltre a prefigurare un criterio comico e arbitrario del toponimo valido solo se è “diffusamente utilizzato”, si introduce il “mantenimento nella loro dizione originaria in lingua tedesca e ladina dei nomi storici”. Cioè il nome che da un secolo è italiano-tedesco da domani diventa solo tedesco, se non si dimostra che la dizione italiana “sussiste”.

Da una parte neanche si prevede che possa esistere una “dizione originaria in lingua italiana dei nomi storici”; dall’altra s’adombra il criterio, molto pericoloso, del “chi c’era prima”. Comprimendo, così, il ruolo del nome italiano, che è invece alla radice dell’ordinamento e fonte giuridica ineliminabile del bilinguismo. Ma anche ignorando che la storia dei nomi rispecchia quella dei popoli: è la meravigliosa mescolanza, e non già la ricerca di una purezza toponomastica a cui abbeverarsi -la presunta e sacra origine solo tedesca-, che rende il mondo migliore.

(Articolo pubblicato su Il Messaggero e tratto dal sito www.federicoguiglia.com)

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