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Secondo un articolo informato da insider uscito su Foreign Policy, alla Casa Bianca ci sarebbero almeno un paio di consiglieri che stanno chiedendo al presidente Donald Trump di ampliare il coinvolgimento in Siria, come proxy per il confronto militare con l’Iran. Teheran è il più grande sostenitore del regime di Damasco, avendo fin dai primi anni inviato a sostegno diverse milizie sciite controllate, che ad oggi rappresentano il netto quando si parla e scrive di “forze del regime siriano”, ridotto al minimo com’è l’esercito regolare.

L’AUMENTO DI TENSIONE

Negli ultimi mesi il confronto con gli americani è cresciuto, soprattutto in un’area a sud che si chiama Al Tanf, dove le forze speciali statunitensi stanno sostenendo un gruppo combattente siriano selezionato, che compie incursioni all’interno della rotta di collegamento siro-irachena dello Stato islamico (diventata, oggi che le roccaforti Mosul e Raqqa stanno cadendo, ancora più nevralgica). Ma quella linea di comunicazione interessa anche l’Iran, perché vi passa una direttiva stradale che collega Baghdad con Damasco, e in prolungamento ad ovest con il Libano e ad est con Teheran. Ossia, copre la Mezzaluna sciita, l’area di controllo geopolitico su cui la Repubblica islamica ha interesse privilegiato in Medio Oriente, e dunque non vuole piantato lì in mezzo un “garrison“, come dicono gli americani, statunitense.

CHI SONO I DUE FALCHI

I due sostenitori della necessità di aumentare l’intensità della guerra e allargare anche all’Iran le attenzioni, che per ora sono esclusive sul Califfo, sono Ezra Cohen-Watnick, direttore senior dell’intelligence nel Consiglio di Sicurezza Nazionale (NSC), e Derek Harvey, il principale consulente in Medio Oriente della NSC. Piccoli memo sul primo, più famoso. Watnick fu colui che informò il capo della Commissione Intelligence della Camera, Devin Nunes, che l’amministrazione Obama aveva fatto spiare l’attuale presidente Donald Trump durante la fase elettorale: questione su cui il presidente montò un caso, ma che si è rivelata inesistente e ha costretto Nunes a ricusarsi dal Russiagate, su cui sta indagando anche la Commissione che presiede. Watnick secondo un altro articolo informato del New York Times, avrebbe parlato con alcuni uomini di Trump della possibilità di usare le spie americane per rovesciare il regime iraniano. È noto che il capo del NSC HR MacMaster non abbia particolarmente in simpatia Watnick, che è stato inserito nel team dall’ex consigliere Michael Flynn. Watnick è considerato inesperto e troppo aggressivo, una linea che certamente piaceva a Flynn: è noto anche che MacMaster abbia cercato di esautorarlo dalla sua posizione, ma ha incontrato le opposizioni dei trumpiani dalla linea più dura dell’inner circle del potere, come Steve Bannon – anche se pare che Watnick intercetti l’appoggio anche di Jared Kushner, considerato finora l’ala moderata della Casa Bianca.

CHI FRENA

I due consiglieri del presidente, che lavorano nell’ambito dell’ampia revisione strategica voluta nei confronti dell’Iran, vorrebbero che le forze americane di Al Tanf iniziassero ad andare all’offensiva in quell’area, dopo essere state costrette a varie azioni difensive nelle ultime settimane, pressate dalle milizie sciite governative – un F15 ha abbattuto un drone, prima, per due volte, F/A 18 americani “full loaded” di armamenti avevano bombardato le milizie filo-iraniane che si stavano avvicinando minacciosamente alla base in cui si trovano le forze speciali statunitensi; ora, a difesa, sono state schierate due batterie missilistiche Himars. Le fonti di FP dicono che questi piani stanno “rendendo nervosi” diversi alti funzionari dell’amministrazione, per primo il capo del Pentagono Jim Mattis che avrebbe “personalmente” respinto queste proposte già varie volte. Anche il capo delle Forze armate, Joseph Dunford, e il delegato della Casa Bianca alla Coalizione internazionale, Brett McGurk, spingono per mantenere il focus dell’impegno in Siria solo sull’IS. Una sottolineatura delle volontà non belligeranti del Pentagono nei confronti di Damasco, è arrivata anche domenica, nel comunicato in cui la Difesa americana spiegava l’azione difensiva che aveva reso necessario abbattere un bombardiere siriano – circostanza più unica che rara – che stava colpendo più a nord, verso Raqqa, altre formazioni anti-IS aiutate dagli americani. Il rischio di un’escalation tra Iran e Stati Uniti è profondo e potrebbe portarsi scombussolare l’intera regione, visto che Trump ha preso nettamente posizione nel confronto sciiti e sunniti al fianco delle monarchie del Golfo che incarnano la seconda visione islamica.

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