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Londra manda in soffitta il più celebre adagio degli islamofobi: “Non tutti i musulmani sono terroristi, ma tutti i terroristi sono musulmani.” Non è così e l’azione compiuta a Londra da un terrorista che si è lanciato con un mezzo pesante contro i fedeli che uscivano da una moschea lo dimostra.

Il problema non è “quantificare”, “relativizzare”, “ingigantire”: il problema è capire che questa azione dimostra la saggezza della scelta di papa Francesco: non solo quella di distinguere la religione e i suoi aderenti dal terrorismo, ma anche quella di affermare che non esistono fedi e popoli terroristi, ognuno ha un piccolo gruppo di fondamentalisti.

Certo però è che l’odio cresce, si diffonde. Viene la tentazione di dire che nel mondo odierno Cartesio direbbe “odio ergo sum”. Oggi si avverte una tentazione forte, opporre al caos percepito la risposta di una fede intransigente e identitaria. Non si condividono più valori, non si sa più neanche quali siano i valori, perché la religione è stata estratta dalla cultura che l’ha vista formarsi, crescere. Ecco perché “inculturazione” è un vocabolo decisivo e rimosso. Non c’è inculturazione per i pentecostali come per i wahhabiti, ma deculturazione.

L’idea di un supposto scontro di civiltà è entrata profondamente dentro di noi, impedendoci di capire che il fondamentalismo è un’inciviltà nel senso che estrae le religioni dal loro contesto culturale, le lancia nel mercato globale come un prodotto ad uso “identitarista”. A questo processo la risposta non può venire unendo?

Al supposto scontro di civiltà non basta rispondere ciascuno da casa propria, ma creando una nuova appartenenza, quella dei “moderati”: la parola non piace perché sembra consegnare agli altri il testimone del custode della vera fede. Eppure moderazione era, o potrebbe essere, una bella parola, una parola che indicava una “nobiltà” di intenti, uno sforzo. Si dovrebbe dire,  forse, “accomodazionisti”, cioè coloro che possono condividere valori e cultura anche con non credenti. Ma il vocabolo è ancora più brutto del precedente. E allora proviamo a far pace con la nobiltà della moderazione, intesa come espressione della volontà di riconoscere l’altro, e viverci insieme. Definirsi è importante, anche perché a differenza dei fondamentalisti i moderati, se accettassero di definirsi come tali, sarebbero gli unici che potrebbero unirsi. Dar vita a un fronte comune, quello dei moderati: quelli che rigettano l’odio, che apprezzano l’altro, che lo riconoscono come una ricchezza e non come un problema.

I moderati, a differenza dei fondamentalisti, possono unirsi, creare “un’unione di tutti coloro che vogliono il vivere insieme”! Per questo è davvero decisiva la scelta di papa Francesco di guardare all’origine dell’odio dilagante, studiando una scomunica per i corrotti e i mafiosi. I poteri criminali transnazionali e globali sono il tumore di oggi, un enorme generatore di odio.

In questo Bergoglio si dimostra un “moderato”, perché riconosce che il problema riguarda anche la sua famiglia, la sua comunità. Se altri lo seguissero, la cultura dell’odio ne subirebbe un bel colpo. Insomma, a Londra forse c’è stato un episodio isolato, ma è un campanello d’allarme che suona in un’epoca molto allarmante. “Moderati di tutto il mondo, uniamoci”, questa per me è l’urgenza, la priorità per contrastare questa dilagante cultura dell’odio. Se poi ci fosse un’espressione migliore di “moderati”, ben venga!

Le religioni, i fondamentalisti e il moderato Bergoglio

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