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Primo messaggio: “Il concetto stesso di green economy ormai è del tutto anacronistico“. Secondo messaggio: “Il consumo di risorse alla base dei nostri sistemi produttivi è insostenibile: se vogliamo avere un’economy anche in futuro, non potrà che essere green“. Parola di Massimo Mercati, direttore generale di Aboca, azienda toscana – con sede a Sansepolcro, in provincia di Arezzo – leader nel settore delle biotecnologie naturali. “La nostra è un’impresa allo stesso tempo agricola e farmaceutica: l’idea di fondo è trovare nelle sostanze naturali una risposta ai problemi di salute delle persone nel rispetto dell’ambiente“. A Mercati Formiche.net ha chiesto quali siano le principali sfide della rivoluzione produttiva ormai in corso da anni e le priorità d’intervento – non solo dal punto di vista normativo – necessarie a soddisfare le nuove esigenze di imprese e cittadini.

In che senso il concetto di green economy è anacronistico?

E’ un’espressione troppo vaga che finisce con il produrre un evidente effetto fuorviante. Lascia intendere che oggi possa esistere un’economia che non sia green. Ma non è possibile, ormai dovremmo averne coscienza.

Ma cosa vuol dire, a suo avviso, green economy?

L’aggettivo green indica la necessità che i nostri modelli di sviluppo siano sostenibili. Per questo dico che non esiste un sistema alternativo.

A quali settori produttivi si riferisce in particolare?

Innanzitutto mi riferisco alla nostra impresa che lavora sulla natura partendo dall’agricoltura. Ma lo stesso concetto, in fin dei conti, vale per tutti gli ambiti produttivi. E il motivo è chiaro: il consumo di risorse alla base dei nostri sistemi produttivi non è più sostenibile. Si devono necessariamente utilizzare risorse che possano essere a loro volta rinnovate.

Come si inserisce il problema delle emissioni nocive?

Ne è parte integrante. Le attività con un maggiore impatto ambientale devono sostenerne i relativi costi. Questo modello, però, ad oggi si applica inspiegabilmente solo al manifatturiero: dovrebbe essere esteso anche a tutti gli altri comparti. Inclusa l’agricoltura.

Lo Stato e la politica sono consapevoli di queste urgenze?

Non mi pare che la gravità del problema sia stata realmente percepita. E, soprattutto, mancano gli strumenti concettuali per affrontarlo.

A cosa si riferisce?

Le faccio un esempio: a livello generale l’ordinamento riconosce il principio per cui chi inquina paga. Il quale, però, è totalmente disapplicato nella pratica visto che non vi è una consequenziale attività amministrativa. Ma c’è di più: in questo caso l’onere della prova è pure invertito. Grava su chi viene inquinato e non su chi inquina. E’ ciò che accade di regola in agricoltura. Una vera assurdità: è chi immette la sostanza che dovrebbe sostenere l’onere di controllare che non sia inquinante.

L’ostacolo principale è rappresentato dalla burocrazia?

Esiste certamente un problema in tal senso, ma vi è anche un altro aspetto da sottolineare. Molti principi in materia previsti dalla nostra legislazione sono troppo vaghi e, di conseguenza, non riescono a informare pienamente di sé l’ordinamento giuridico. In questo modo però è impossibile affrontare con successo le nuove sfide ambientali che il mondo ci pone.

Tante leggi – con tanti principi al loro interno – ma troppo generiche e per questo scarsamente applicate. E’ questo il quadro? 

A breve pubblicheremo un testo che si intitola “The ecology of law” – l’ecologia della legge – scritto dal professor Ugo Mattei del Politecnico di Torino e dal filosofo e fisico Fritjof Capra. In questo volume entrambi sostengono che i principi e la loro applicazione all’interno dell’ordinamento devono seguire le sfide attuali. Ciò però non succede: al di là della burocrazia anche perché vi è una vera e propria miopia nell’interpretazione dei diritti.

Un esempio?

A proposito del diritto di proprietà e d’impresa la stessa Costituzione stabilisce che debbano avere una funzione economico-sociale. Questa previsione – se applicata correttamente al settore agricolo – dovrebbe impedire al proprietario di un campo di farvi ciò che vuole. Può sversarvi sostanze tossiche – pur ammesse dalla legge – se queste altereranno quel bene per sempre? La risposta ovviamente è no. Non si dovrebbe avere il diritto di fare impresa se non a condizione che venga garantito un impatto zero.

Qual è, da questo punto di vista, il vostro impegno?

La nostra azienda è qualificata con la certificazione biologica, sulla biodiversità e sull’impatto ambientale. Inoltre, siamo anche impegnati in una serie di eventi culturali per comunicare la rilevanza di questo problema. Che, purtroppo, ancora non è stata compresa.

Come rendere più sostenibile l'economia. Parla Mercati (Aboca)

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