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Per un leader che vuole passare alla storia come il fondatore di una nuova Cina, e Xi Jinping vuole esattamente questo, non c’è cosa peggiore che perdere credibilità. Difficile che non accada in un Paese che non è stato in grado di tutelare il risparmio dei propri cittadini. E in effetti, sta accadendo. In poche parole, i cinesi non riescono a capire perché l’economia del Dragone abbia costantemente il fiato corto, non riuscendo più a raggiungere quegli stratosferici target di crescita visti in passato. Della strisciante sfiducia cinese, se ne è accorto Scott Kennedy, economista e senior advisor presso il Center for strategic and international studies.

Che cosa sta succedendo? “L’economia cinese sta andando male. Il rimbalzo post-pandemia è stato molto più contenuto e breve di quanto previsto dal governo cinese. Nonostante si sia registrato un tasso di crescita ufficiale rispettabile, anche se diminuito, pari al 5,2% nel 2023, la realtà potrebbe essere stata molto più dura. Alcuni indicatori hanno mostrato un modesto miglioramento nei primi mesi del 2024, ma l’economia sembra ancora vacillare, con la crescita ora fortemente dipendente dalle esportazioni, su cui gravano le sanzioni contro la Russia”, spiega Kennedy.

Ora, “insieme al rallentamento economico si è verificato un crollo della fiducia, sia in patria sia all’estero. Le prospettive dei consumatori sono migliorate brevemente quando le politiche zero-Covid sono terminate alla fine del 2022, ma da allora sono rimaste costantemente ai minimi storici. Vari indici per le imprese nazionali mostrano una recente ripresa modesta, ma i numeri sono ancora lontani dai massimi”. Tradotto, tutti questi indicatori, certificano “la profondità e l’ampiezza del disagio che i cittadini cinesi provano riguardo al presente e al futuro del Paese”.

Una domanda viene posta ripetutamente in Cina: perché la leadership non ha fatto di più per rilanciare l’economia e ripristinare la fiducia delle famiglie e delle imprese? E per leadership, molti in realtà si riferivano implicitamente a una sola persona, Xi Jinping. In questi mesi, certo, Pechino non è rimasta ferma, ha ampliato il credito, presentato piani per rassicurare il settore privato e la comunità imprenditoriale straniera, ridotto le restrizioni per l’acquisto di una seconda casa. Ma una parte sostanziale delle persone non è rimasta colpita e rinsaldata da tutto questo, poiché queste iniziative si sommano ancora a troppo poco o arrivano troppo tardi”.

Ebbene? “Sono emerse quattro opinioni sul motivo per cui Xi e altri massimi leader del partito non hanno adottato un approccio diverso, con decisioni in grado di sanare l’anemia cinese. La prima è che Xi non sa cosa sta facendo, perché tenuto costantemente all’oscuro dello stato reale dell’economia da parte dei quadri che non vogliono dargli cattive notizie”, sottolinea Kennedy. Oppure “non sa cosa fare, non riuscendo a trovare una vera soluzione, pur conscio dei problemi, alla crisi immobiliare, l’esplosione del debito pubblico locale, il crollo del tasso di fertilità, la crescente disuguaglianza”.

Una cosa è certa, secondo l’economista e grande esperto di Cina, i cinesi continuano a non capire cosa impedisca a Xi di dare una sterzata all’economia del Paese, proprio ora che l’India è de facto la prima economia d’Asia. “Tutto questo ci suggerisce un rafforzamento delle divisioni tra parti della società cinese e i suoi leader, nonché tra Pechino e le altre capitali. Ciò significa che ci sono poche possibilità di nuove azioni coraggiose da parte del governo e le contraddizioni tra la leadership e le opposte prospettive nazionali e internazionali fanno presagire ulteriori tensioni e conflitti a venire”.

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