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Quanto sia lungo il percorso per la riforma elettorale lo dimostrano le pronte reazioni al rilancio del Mattarellum operato da Matteo Renzi nell’assemblea del Pd. I no sono arrivati da grillini e azzurri, oltre che dai centristi. Fuori del Pd (all’interno del quale la legge che reca il nome del capo dello Stato trova vaste adesioni, non unanimi però) a dire sì è la coppia SalviniMeloni.

Naturalmente adesioni e contrarietà sono legate esclusivamente agli interessi, reali o ritenuti, di chi si pronuncia.

Ammettiamo che realmente si ripristini un sistema come quello che fu usato nel 1994, 1996 e 2001. Ammettiamo che si possa tornare all’indietro, senza modifiche o quasi (e le polemiche sulle liste civetta? E i collegi ancora fondati sul censimento del 1991?). Nessuno è in grado di sapere come finirebbe la lotteria nei collegi uninominali con tre poli che, nazionalmente, sarebbero valutabili, oggi, ciascuno intorno al 30 per cento: più avanti il Pd da solo, un po’ indietro il M5s pure solitario, a sua volta sopravanzante un listone Fi-Lega-Fd’It. Può darsi che Renzi sia persuaso di trionfare: è sempre stato convinto di poter vincere il M5s nel ballottaggio dell’italicum. Sarà bene ricordare che, quando la riforma elettorale passò nel ’93 il voto delle Camere, i democristiani erano convinti di portare a casa il successo nel Mezzogiorno, il Pds di vincere nelle zone rosse, i leghisti di trionfare al Nord. Sarebbe meglio, quindi, che nessuno si facesse illusioni: amare sorprese potrebbero arrivare in molti collegi, persi per un pugno di voti.

I pentastellati hanno una sola strada per giungere al governo: l’Italicum così com’è, ossia un sistema con ballottaggio di lista, sperando di arrivare al secondo turno e contando sul riversamento dei voti di chi sia ostile alla vittoria del concorrente rimasto in lizza. Quindi, bocciano qualsiasi ipotesi che non sia di conferma per la legge in vigore. Silvio Berlusconi non ne vuol sapere di allearsi preventivamente con Matteo Salvini e Giorgia Meloni: alle trattative subirebbe la loro offensiva. Per di più attende che dalla giustizia europea gli arrivino novità.

Per opposti motivi, leghisti e destra gradirebbero il ricorso a sistemi uninominali, per ottenere un alto numero di eletti mercé l’apporto dei voti berlusconiani. Vogliono ricostruire il centro-destra, ma senza ricadere nei fenomeni patiti con le ultime amministrative: un candidato comune ma detestato a Milano, fratture a Torino e a Roma, ovunque sconfitte finali. Quanto ai centristi, intendono serbare la propria individualità di partito o di partiti, che fra l’altro sono oggi troppi. Collegi uninominali significherebbero per loro inserimento nel Pd (se schierati a sinistra) o intese, difficili, con la Lega (se collocati a destra), per qualche candidatura sotto un simbolo oggi ignoto.

Posto che Renzi sa bene quali siano le posizioni degli interlocutori fuori del Pd, e che quindi ben conosceva quali reazioni si sarebbero create alla sua profferta del mattarellum, ci si chiede se il vero obiettivo che egli si pone sia mostrare l’impossibilità di trovare presto un accordo sulla riforma elettorale. L’ovvia conclusione sarebbe di giungere, in modo falsamente rassegnato, al voto con le leggi che a febbraio saranno in vigore. Solo così si potrebbe votare in giugno, come vuole il segretario del Pd: non si può dimenticare che avrebbe desiderato il voto addirittura a febbraio.

(Pubblicato su Italia Oggi, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

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