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La breve lettera diffusa sabato scorso dal Vaticano riguardo le sorti dell’Ordine di Malta è riassumibile in una semplice constatazione: il cardinale patrono, Raymond Leo Burke, è stato esautorato. E tra le file dell’Ordine – dicono in molti – si brinda. Il porporato “ha esagerato”, si bisbiglia nella sede di via Condotti. Di esplicito non c’è nulla, ma il Papa – nominando il fidato con fama di “duro” Giovanni Angelo Becciu a delegato speciale – scrive che a quest’ultimo sono delegati “tutti i poteri necessari per decidere le eventuali questioni che dovessero sorgere in ordine all’attuazione del mandato a Lei affidato”. Non solo, perché Francesco specifica che “fino al termine del Suo mandato, cioè fino alla conclusione del Capitolo straordinario che eleggerà il Gran Maestro, Lei sarà il mio esclusivo portavoce in tutto ciò che attiene alle relazioni tra questa Sede Apostolica e l’Ordine”. Questo è il punto: esclusivo portavoce, compito che in teoria dovrebbe essere appannaggio del cardinale patrono, cioè di colui che di norma è il trait d’union tra la Santa Sede e il Sovrano militare ordine maltese. Burke, appunto (qui l’approfondimento di Formiche.net sulle mosse di Burke tra Bergoglio, Becciu e Salvini).

Una lettera perentoria, dura nei contenuti e nei toni. Che blinda la posizione di Becciu e lo mette al riparo da possibili proteste da parte degli ambienti dell’Ordine più riottosi ad accettare l’intromissione della Santa Sede nei propri affari. Ma da cosa deriva tale durezza? Che ruolo ha avuto l’insolitamente silenzioso Raymond Burke nella vicenda che si trascina ormai da tre mesi?

Dall’Ordine nessuno parla, almeno pubblicamente. Il chiasso è stato forte, lo shock per le dimissioni (imposte) del Gran Maestro non è ancora stato assorbito. Ma a taccuini rigorosamente chiusi, la versione che va per la maggiore vede proprio nel comportamento di Burke la goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Torniamo indietro allo scorso novembre. Nel Palazzo apostolico vaticano, Francesco riceve Burke in qualità di patrono. Non parlano della lettera inviata dai famosi quattro cardinali (Burke incluso) contenente i dubbi sull’esortazione Amoris laetitia. L’oggetto del colloquio è un altro: l’esautorazione di Albrecht von Boeselager da Gran Cancelliere dell’Ordine. Burke presenta al Papa i motivi per cui a suo giudizio è necessario licenziare il nobile tedesco: c’è di mezzo la dottrina della Chiesa, lo scarso rispetto per la morale cattolica. C’entrano, eccome, i preservativi distribuiti sotto i suoi occhi nei presìdi in Myanmar e Africa. Insomma, è un comportamento che ostacola con l’incarico, dice al Pontefice il cardinale patrono. Bergoglio ascolta e rimane sbigottito: concorda sulla necessità di preservare l’identità cattolica dell’Ordine, invita a sorvegliare su atteggiamenti non appropriati e contrari alla morale cattolica. Su un punto, però, raccomanda prudenza: non far rotolare teste. Discutere insieme, magari nel capitolo, ma non prendere decisioni avventate.

Passano i giorni e ai primi di dicembre von Boeselager viene cacciato dal Gran Maestro, fra’ Matthew Festing. In Vaticano si sentono presi in giro perché tra i Cavalieri circola la voce che è stato il Papa ad avallare l’estromissione del Gran Cancelliere. E proprio il cardinale Burke avrebbe confermato che Francesco aveva approvato (con una lettera) la linea dura. Oltretevere negano risolutamente. Il Gran Maestro Festing mostra segni di nervovismo. Spiega a Formiche.net un autorevole membro dell’Ordine che Festing – pur condividendo con Burke le riserve sulla condotta di von Boeselager – non appariva propenso a licenziarlo. Voleva temporeggiare, attendere, valutare più attentamente la cosa. Ma davanti a un ordine papale, la prudenza non era necessaria. Così si arriva alla cacciata.

In Vaticano reagiscono. Il segretario di Stato Pietro Parolin – che è visto con grande diffidenza dai Cavalieri – entra in gioco e manda due lettere, una più dura dell’altra, in cui fa capire chiaramente che il Papa mai aveva avallato il licenziamento del nobile tedesco. Anzi. E come conseguenza diretta, arriva la commissione papale incaricata di fare chiarezza su quel che era accaduto. La reazione del Sovrano Ordine è naturale: “Siamo uno stato sovrano, non possiamo accettare un’intromissione di questo tipo. Neanche con Pio XII l’abbiamo fatto”, dice la fonte. A quel punto, è il caos. Si cerca Burke, che non si trova. Ricompare giorni dopo spiegando che è vero, in realtà il Papa non aveva dato l’ordine di silurare von Boeselager, ma comunque questa era l’indicazione percepibile dal documento (la lettera) che gli aveva inviato. Ma a questo punto non si può tornare indietro.

L’Ordine rifiuta di collaborare con la Santa Sede, il nuovo Gran Cancelliere invita ai membri a non rispondere alle domande dei commissari pontifici, il Gran Maestro Festing non riconosce l’autorità dell’organismo. Per il Papa la piega ha assunto contorni pericolosi: praticamente, agli occhi pubblici, è una guerra tra lui e Burke. Il contrario di quel che voleva. Convoca Festing e gli impone di dimettersi. Tutto è permesso, meno che l’insubordinazione palese alla volontà del Pontefice.

Il resto è cronaca: la lettera della Segreteria di Stato annulla tutti gli atti del Gran Magistero successivi al 6 dicembre, cioè alla cacciata di Boeselager (che comunque gode di un prestigio non troppo elevato in alcuni settori dei Cavalieri, anche tra quanti da tempo non vedevano di buon occhio le azioni di Burke) e lo riporta in sella. E’ questo, infatti, il punto dolente. Non tanto l’addio di Festing (che ha lasciato Roma senza neppure i rituali saluti), ma il reinserimento in sella del Gran Cancelliere, un atto che – a parere di alcuni giuristi – avrebbe aspetti illegittimi, in quanto imposto – secondo alcuni addetti ai lavori – da uno Stato a un altro Stato sovrano.

A ogni modo, la saga non è finita. Becciu cercherà di riportare ordine.

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