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Va bene, a Monaco l’Isis non c’entrava (almeno stando alla versione ufficiale, che “dimentica” – diciamo – il grido “Allah Akbar” riferito da alcuni testimoni). E la follia individuale, sempre secondo la versione generalmente accettata, avrebbe giocato il ruolo principale in questo eccidio. Naturalmente, molto si potrebbe comunque dire su quanto il terrorismo “vinca” comunque, purtroppo: in termini di militarizzazione delle nostre città, di effetto-panico, di capacità anche di un singolo di tenere in scacco immensi apparati di sicurezza. Ne riparleremo.

Ma, anche se l’Isis davvero non c’entrava, c’entravano altre cose che non possiamo far finta di non vedere: il clima terroristico che ha “modellato” le scelte (pur non scaturite da moventi fondamentalisti) del giovane pluriassassino, il film collettivo delle stragi (che “chiama” l’emulazione”), e il fallimento del multiculturalismo come chiave per l’integrazione.

Bisognerebbe parlare di tutto questo a viso aperto.E invece? E invece, quando sarà scritta una storia di questi anni, quando i posteri vorranno capire com’era l’establishment europeo (e italiano) di questi anni, gli studiosi del futuro potranno concentrarsi sulla serata televisiva di venerdì scorso, 22 luglio, nelle lunghe ore successive all’eccidio di Monaco.

Per ore e ore, politici, media ed “esperti” hanno fatto sforzi (ammirevoli: ma degni di miglior causa) per parlare di ogni altro possibile argomento: dell’immancabile spauracchio del “neoliberismo”, delle colpe dell’Occidente, del nazismo, di Bush, e via deviando, scansando, allontanando.

Da mesi, da anni, gli “esperti” non hanno visto solo due cose: il nazi-islamismo jihadista, il cui programma è semplice e chiaro: ucciderci. E il fallimento del multiculturalismo: ormai è chiaro che puoi integrare degli individui (se accettano la nostra cultura), ma non puoi integrare delle comunità (se pretendono di mantenere una diversa “legalità” e cultura fondamentalista). Altrimenti, se resta un equivoco, la contraddizione esplode: o sotto forma di assalto jihadista esplicito, o sotto forma di pezzi di territorio fuori controllo (perché “appaltati” a comunità islamizzate), o sotto forma di giovani apparentemente “integrati” ma che in realtà – a un certo punto – si rivelano per quello che sono: corpi estranei alla civiltà della libertà, della democrazia, dei diritti umani, del rispetto sacro della vita (e della libertà e della proprietà) altrui.

In questo quadro, alcuni avevano provato già nelpost-Nizza – senza successo – a “medicalizzare” il profilo del colpevole. A Monaco, il pazzo era veramente tale, a quanto pare. Ma il problema è che oggi – per alcuni – il “pazzo”, il “depresso”, e soprattutto la ricerca affannosa del pazzo e del depresso, sembrano le ultime ancore di salvezza residue per chi cerchi di parlar d’altro e negare l’evidenza.

Al di là di Monaco, che ha dunque – pare, o così cidicono – altre cause, servirebbe un Churchill capace, settant’anni dopo, di riconoscere il nemico, e di indicare una via (difficile, dolorosa, rischiosa, ma inevitabile). E invece abbiamo i nostri “esperti”…

PS Dum Romae consulitur, intanto, a Kabul l’Isis uccideva altri 80 innocenti nell’ennesima strage…Nel frattempo, un rifugiato ha ucciso in Germania una donna con il machete. La serata di ieri, sempre in Germania, si è chiusa con una bomba in un ristorante in prossimità di un festival musicale ad Ansbach, ad opera di un altro rifugiato…

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