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Sono sostanzialmente indicate nelle precedenti pubblicazioni (in basso nel testo tutti i link). Qui ci si limita a un’estrema sintesi a beneficio di chi non avesse avuto la pazienza di leggere il resto.

Primo. Checché ne dica il fronte del “no (a tutto)”, è una buona riforma costituzionale perché affronta finalmente questioni in sospeso da decenni e lo fa in modo adeguato. Naturalmente non è perfetta: nessuna riforma discussa e votata democraticamente può essere perfetta nel senso di perfettamente coerente e priva di compromessi e concessioni reciproche. Questa riforma – comunque – è sufficientemente coerente.

Secondo. L’essenziale che si voleva ci fosse, c’è. Superamento del bicameralismo perfetto, fiducia con la sola Camera, prevalenza legislativa della Camera politica, Senato di rappresentanza territoriale indirettamente eletto, revisione del titolo V, abolizione enti inutili o comunque costituzionalmente non necessari.

Terzo. E’ una riforma in continuità con le migliori proposte del passato (ahimé restate tali) e perfino con l’iniziale ispirazione dei Costituenti del 1946-47: quando questi avevano immaginato proprio un Senato composto, in parte, di rappresentanti dei consigli regionali.

Quarto. In particolare la riforma affronta contestualmente due questioni cruciali fortemente interconnesse: riforma costituzionale, riforma elettorale. Una delle principali cause della transizione mai conclusa (iniziata nel 1991 e in sospeso da allora) sta proprio nell’aver fatto le riforme elettorali (a metà, oltretutto), ma non aver fatto alcuna riforma costituzionale. Questa riforma invece va in parallelo con quella elettorale. Si tratta di due innovazioni che si completano bene a vicenda, rendendo possibile – nelle aspettative ragionevoli – una preziosa continuità fra (1) voto dei cittadini; (2) scelta di governo e di leadership; (3) governi di legislatura; (4) giudizio periodico degli elettori sulle cose fatte e su quelle non fatte. E’ – in pratica – qualcosa di vicino al c.d. “sindaco d’Italia”: se funzionerà come ha funzionato l’elezione diretta dei sindaci (una delle riforme più riuscite degli ultimi 25 anni), si potrà essere più che soddisfatti.

Quinto. Mette il nostro ordinamento costituzionale in linea con quelli delle altre democrazie con le quali collaboriamo e/o competiamo. Lo fa senza ridurre in nulla, anzi ampliando, gli spazi di democrazia, checché ne dicano alcuni fanatici del “la Costituzione non si tocca”. Sana il deficit democratico di una camera il Senato non eletto oggi a suffragio universale (anche se nessuno sembra ricordarsene).

Sesto. Pone fine a una lunghissima stagione di inconcludenza riformatrice che dura da oltre vent’anni: il che di per sé ha concorso ha ridurre la fiducia nella politica e in generale l’autostima del Paese in sé stesso. Dà il segnale, di pari passo con altri provvedimenti del governo in carica, di un’Italia che reagisce alla sua crisi e mostra di saper cambiare.

Settimo. E’ una base solida per continuare sulla strada delle riforme, di cui il paese ha bisogno: lo rimette in carreggiata e ne favorisce il rilancio.

Ottavo. E’ uno strumento prezioso per perseguire meglio l’attuazione dei principi fondamentali (articoli da 1 a 12) e per meglio assicurare la tutela dei diritti di cui parlano gli articoli da 13 a 54. La giustizia sociale e la difesa degli ultimi non si promuovono con istituzioni impotenti e inefficaci: servono al contrario istituzioni forti e incisive.

Nono. Questa riforma può essere – volendo e sapendo – uno strumento per il rafforzamento della democrazia e il rilancio della politica. Qui molto starà – è chiaro – ai protagonisti (classe politica nazionale, classi politiche regionali e locali, cittadini tutti). Perché una cosa resta ovviamente chiara a tutti: le istituzioni (inclusi i partiti), le regole giuridiche (dunque le Costituzioni) sono strumenti, mezzi in vista di un fine. Bisogna saperli utilizzare al meglio. In ogni caso la storia insegna che non è la forza ma la debolezza del potere democratico a mettere in crisi la fiducia nelle istituzioni e nella politica.

Decimo. Con questa riforma, il Parlamento della XVII legislatura sta dunque concorrendo a fornire gli strumenti per una più efficace governabilità futura. A tutti noi saperne approfittare e mostrarsene degni.

Infine: sono anni che – giustamente – la classe politica viene messa in croce per l’incapacità di riformare sé stessa, la Costituzione e la legge elettorale: e ora che questo avviene e che un Parlamento si assume al responsabilità di fare le riforme ed anzi un ramo del Parlamento (il Senato) trova il coraggio – finalmente! – di trasformare radicalmente sé stesso riducendo di 1/3 la classe politica parlamentare, cosa facciamo? buttiamo tutto all’aria come se si giocasse a un eterno “gioco dell’oca”? I cittadini daranno la loro risposta.

Diciottesimo di una serie di approfondimenti. Qui si può leggere il primo, qui il secondo, qui il terzo, qui il quarto, qui il quinto,qui il sesto, qui il settimo, qui l’ottavo, qui il nono, qui il decimo, qui l’undicesimo, qui il dodicesimo, qui il tredicesimo, qui il quattordicesimo, qui il quindicesimo, qui il sedicesimo, qui il diciassettesimo. Qui si può leggere il testo completo.

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