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Uno-due. L’Europa non le manda a dire a Donald Trump e scarica un intero caricatore di dazi sulle importazioni americane, in risposta alla raffica su acciaio e alluminio arrivata da Washington. La guerra commerciale è ricominciata, con tutte le conseguenze del caso. Tanto per cominciare i mercati, che non sembrano gradire più di tanto le politiche protezioniste della seconda amministrazione Trump. In meno di due mesi dall’insediamento, l’indice americano S&P 500 ha perso circa il 6% e il Nasdaq 100 più del 10%. L’opinione di Wall Street sulla politica di dazi e tagli alla spesa pubblica inaugurata dal presidente sembra insomma netta, soprattutto se paragonata all’accoglienza che la borsa aveva riservato a Trump nel 2017.

Quanto alla risposta di Bruxelles, che interesserà beni dal valore di 26 miliardi di dollari, prevede che vengano reimposte le misure di contro-bilanciamento sospese del 2018 e del 2020. Il 1° aprile 2025, le misure di riequilibrio del 2018 e del 2020 saranno automaticamente ripristinate, una volta scaduta la loro sospensione il 31 marzo. L’elenco dei prodotti Usa nel mirino è lungo 99 pagine ed è stato pubblicato dalla stessa Commissione europea. Saranno applicati dazi su prodotti che vanno dalle barche al bourbon, fino alle moto, come le Harley Davidson. Marco Fortis, economista e direttore della Fondazione Edison, vuole ridimensionare il tutto, aspettando di capire se davvero gli Stati Uniti fanno sul serio.

“La prima amministrazione Trump aveva messo a terra delle misure rilevanti sì, ma che non avevano sconvolto più di tanto l’economia globale. Adesso non è ancora chiaro che cosa stia davvero succedendo, la situazione è molto confusa, nonostante il tono della voce sia molto alto rispetto a otto anni fa. Con Canada e Messico, per esempio, abbiamo assistito a diversi stop&go, che hanno confuso le idee e gli stessi mercati”, spiega Fortis. “I dazi apposti su Canada e Messico, ma anche quelli riservati all’Europa, sono anche piuttosto blandi. La mia impressione è che ci sia un clima di guerra ma non una vera e propria guerra commerciale”.

Fortis poi sposta l’attenzione sugli Stati Uniti. “Il presidente Trump non dovrebbe mai dimenticare che ci sono una serie di realtà di cui deve necessariamente tenere conto, a cominciare dalle difficoltà incontro alle quali potrebbe andare incontro la stessa economia americana, a cominciare da un aumento dell’inflazione. La Casa Bianca deve stare attenta ai prezzi, più che alle Borse, che si sa reagiscono spesso in modo emotivo, distruggono e poi il giorno dopo ricostruiscono. Il punto è che Trump ha vinto le elezioni con una serie di promesse che sanno di minaccia. Ora deve dimostrare di saper essere davvero un buldozer. Ma, ripeto, il rischio è che l’economia statunitense vada incontro a una serie di problemi. Ad oggi vedo una gran confusione e fondamentalmente una gran quantità di annunci”.

E l’Europa? Cosa dovrebbe fare? “Il nostro continente è vulnerabile in questo momento, Germania e Francia non hanno una traiettoria definita e questo indebolisce l’Europa. Lo stesso riarmo europeo è un’opportunità, è vero, ma bisogna vedere se con i costi dell’energia che abbiamo, alla fine non finiremo per comprare armi dagli Stati Uniti o dal Regno Unito”. Rimanendo nello scacchiere europeo, non poteva mancare un passaggio sul piano per l’automotive, che poi chiama direttamente in causa la transizione. “Sembra che l’Europa non abbia fatto quello che potrebbe fare, ovvero riallineare la decarbonizzazione su traiettorie sostenibili. Questo perché manca una direzione politica chiara, la stessa Francia non ha tanto interesse alla transizione, visto che ha il nucleare. E questo crea uno stato confusionale permanente”.

La guerra dei dazi non è ancora cominciata, ma non converrebbe. Parla Fortis

Una vera guerra commerciale non c’è, semmai gli stop&go del presidente Trump hanno creato una grande incertezza che ha innervosito i mercati. Il problema sono le possibili conseguenze per il costo della vita negli Stati Uniti e questo Trump dovrebbe tenerlo a mente. L’Europa è vulnerabile e divisa, anche sulla transizione. Intervista a Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison

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