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La scelta referendaria rimane al centro del dibattito poltico di casa nostra.  La spinta della Brexit e la situazione economica non stanno facendo altro che surriscaldare il confronto tra le due parti in causa. I sondaggi rimangono incertissimi e il responso in bilico contribuirà a tenere alto il confronto. L’approccio con il quale i due schieramenti, quello del sì e quello del no, hanno esordito nel dibattito pubblico si presta ad alcune considerazioni sul fronte delle strategie di comunicazione e della loro efficacia sull’opinione pubblica.

Il primo argomento è stato e rimane quello della personalizzazione della campagna referendaria, nello specifico il tema è relativo alla trasformazione del quesito referendario in un si o un no nei confronti dell’attuale Governo e in particolare verso il premier Renzi, piuttosto che un voto positivo o negativo nei confronti della proposta di modifica costituzionale.

Il secondo argomento è relativo al tema del  merito del quesito, e cioè alla bontà o meno della riforma proposta e alle sue relative conseguenze politiche.

Da più parti, in entrambi gli schieramenti, arrivano appelli autorevoli rivolti ad evitare ogni personalizzazione e a entrare nel merito del quesito, spiegando i vantaggi e gli svantaggi delle nuove norme costituzionali.  A tale scopo sono state arruolate torme di costituzionalisti e scienziati politici che stanno firmando appelli e tentano di spiegarci il senso della riforma e le sue conseguenze, positive o negative, sull’impianto politico-costituzionale del Paese.

Purtroppo o per fortuna gli esempi che la storia dei referendum, anche recente,  ci mostra, vanno in una direzione esattamente opposta rispetto agli auspici e alle speranze dei “pompieri” delle due parti.

Ogni tema referendario è stato da sempre combattuto per conquistare non solo la mente, ma soprattutto il cuore dell’opinione pubblica. Lo abbiamo visto con il referendum inglese ma lo abbiamo verificato in Italia con altri referendum del passato, dal divorzio all’aborto ai referendum sul nucleare.

Toccare il cuore significa comunicare non solo e non tanto l’interesse, i numeri, i bilanci, sventolando le opinioni tecniche o giuridiche, quanto solleticare e coinvolgere il sistema di credenze dell’elettore, puntando più sui benefici, veri o presunti, della scelta.  Più sulle conseguenze effettive positive o negative che avranno un effetto specifico sulla vita di tutti i giorni delle persone.  Più sull’identità che solo sulla razionalità precisa ma fredda dei numeri e delle opinioni tecnico giuridiche.

Certo, anche la paura, la famosa pancia dell’elettore, a volte è stata usata per indicare una scelta.  Ma la stessa paura va nutrita di elementi ideali e fortemente emotivi, altrimenti dimostra tutta la sua inefficacia.  E comunque il tema paura, quando è stato efficace, lo è stata nei casi di scelte relative alla sicurezza personale, o presunta tale, dell’elettore.  Il caso del nucleare fa scuola in merito.

Fino ad oggi la campagna elettorale si è concentrata più sulle paure delle conseguenze del dell’esito del referendum costituzionale.  Conseguenze descritte in termini politici, lontane dai cambiamenti veri o presunti nella vita dell’elettore medio.

Eppure la narrativa, oggi si direbbe lo storytelling, referendarario ha avuto maggiore efficacia quando si è concentrato sulla speranza più che sulla paura.  E spesso l’esito è dipeso  da chi è stato scelto a rappresentare la posizione referendaria. Brexit ha vinto perchè nel dibattito ha prevalso il tema dell’identità inglese, tema in Italia quasi sconosciuto al momento, ma fortissimo in Gran Bretagna.  Anzi, si potrebbe valutare il differente responso scozzese più come un riflesso identitario rispetto all’Inghilterra che una reale convinzione a votare in favore dell’Unione Europea.

La campagna elettorale contro la Brexit ha dimostrato poi scarsa efficacia,  impostata com’era essenzialmente sull’evidenziare la presunta “catastrofe economica” di una decisione favorevole alla Brexit, tra l’altro affidata in larga misura a quelle stesse istituzioni economico-finanziarie che le diverse opinioni pubbliche considerano, a torto o a ragione, tra i principali responsabili della attuale situazione politico-economica.

Nel 1974 il referendum sul divorzio è stato vinto da chi convinse i cittadini sui benefici del nuovo istituto e su come la vita delle famiglie e delle persone sarebbe cambiata, piuttosto che da coloro i quali si limitarono a elencare le conseguenze negative del divorzio stesso.

Nel 1987 e nel 2011 il referendum sul nucleare è stato vinto essenzialmente grazie ai timori degli incidenti appena avvenuti (Chernobyl e Fukushima). Ma la paura è stata costruita non sui numeri e sui pareri tecnici (che invece davano e danno estreme garanzie in favore dell’impiego civile dell’energia nucleare) ma sui timori e le speranze degli italiani.

Ecco perchè il referendum costituzionale sarà vinto da quella parte che saprà raccontare meglio i benefici della scelta e la ricadute sul sistema di valori dei cittadini. Vincerà chi saprà dare più speranza e ottimismo.  Chi saprà raccontare una storia positiva. Ogni doverosa spiegazione giuridico-costituzionale dovrà essere accompagnata da una comunicazione emozionale, che parli al cuore e non solo alla mente dei cittadini, altrimenti la sua efficacia sarà limitata.

Quanto alla personalizzazione del voto, stiamo parlando della tecnica di comunicazione più efficiente ed efficace per mobilitare, da una parte e dall’altra, gli opposti fronti.  Al di là delle parole e delle promesse, difficilmente le due parti rinunceranno a questo strumento, anzi il tono del dibattito e la spinta di comunicazione saranno destinate a crescere di intensità. Ci aspetta quindi un settembre caldissimo.

Con quali risultati, ce lo dirà la cronaca.

Vittorio Cino

Referendum? Comunicare con il cuore

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