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Oltre 970 milioni di aventi diritto al voto hanno iniziato ad accedere alle urne indiane tre giorni fa, dando il via a un processo elettorale che si chiuderà all’inizio di giugno, restituendo la nuova composizione del Lok Sabha. Dalla maggioranza nella camera bassa di New Delhi – composta da 543 seggi – uscirà il nome del futuro candidato a guidare il governo, con un uomo in testa a sondaggi e previsioni analitiche: Narendra Modi. Il primo ministro uscente cerca la riconferma per un terzo mandato consecutivo, che significherebbe la consolidazione nella storia dell’India come uno dei più importanti leader del Paese.

La scelta passerà da una massa di votanti che rappresenta più o meno il 10% della popolazione mondiale, e già questo dà la misura del valore del voto indiano. Dagli equilibri interni all’India dipende la capacità del Paese di esprimere la sua proiezione internazionale, diventato ormai uno dei poli attorno a cui si muovono le dinamiche degli affari globali. Se siamo arrivati a considerare l’India così centrale è anche merito di Modi? “In buona parte sì, l’India attuale è il frutto della parabola di Narendra Modi, politico abilissimo, uscito indenne da ogni accusa e polemica in cui è finito coinvolto, mai sconfitto alle urne, protagonista di una scalata al Bharatiya Janata Party (Bjp), il partito conservatore, che ormai porta la sua immagine”, risponde Tommaso Bobbio, professore dell’Università di Torino, storico dell’Asia meridionale.

Bobbio presenterà alla John Cabot University uno studio prodotto per la Farnesina sull’India, che nel corso dell’ultimo anno è diventata un partner strategico dell’Italia dopo che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha siglato l’elevazione dei rapporti tra i due Paesi, proprio durante una visita a New Delhi. Momento che ha anche segnato l’avvio ufficiale della relazione personale di Meloni con Modi, passata poi da una serie di incontri tra G20 e altri vertici internazionali. 

La capacità di creare empatia personale è una caratteristica dell’attività politica di Modi, e spesso fa passare le relazioni bilaterali come il frutto di suoi rapporti di amicizia personale con gli altri leader internazionali”, spiega Bobbio. “Modi è stato nell’epoca recente il politico indiano che ha lavorato di più per far crescere l’immagine dell’India a livello internazionale. Ed essa ha ruotato anche attorno alla sua persona. Non lo ha fatto soltanto attraverso accordi e cooperazioni politiche, ma c’è stata una spinta fortissima anche sul soft power”. Tanto che il premier è riuscito a costruire per esempio una sorta di “diplomazia dello yoga” (copyright Peter Martin), come organizzazioni internazionali statuali o meno che riconoscono nell’esercizio della pratica indiana una dimensione di spiritualità assoluta e universale. 

“A questo si lega la narrazione con cui Modi racconta l’India come una sorta di guida morale e spirituale del mondo, e ciò lo rivediamo nei concetti filosofici di ‘vasudhaiva kutumbakam’, cioè tutto il mondo è una famiglia, che ha ispirato il G20 dello scorso anno, o al concetto dell’India come ‘mother of democracy’ da cui prende ispirazione anche il modo occidentale in cui descriviamo il Paese come la più grande democrazia del mondo”, aggiunge Bobbio. E Modi cerca con le sue azioni politiche di rappresentare questo genere di concetti: per esempio, le votazioni saranno supportate da un milione di cabine elettorali per permettere a ogni votante di poter esprimere le proprie preferenze muovendosi per non più di un 2 chilometri di raggio da dove vive.

È però pacifico che queste ambizioni di Modi si siano anche intrecciate col contesto internazionale, non è così? “C’è una generale tendenza a scegliere al potere, a livello globale, leader carismatici conservatori e questo ha facilitato ulteriormente le relazioni internazionali diplomatiche di Modi per continuità politica con altri leader. Inoltre, sia esternamente sia internamente gli fa credito il fatto che non ha interessi economici propri, non viene da dinastie e non è un ex o attuale imprenditore: e questo conta molto nel farlo piacere agli elettori, che non lo vedono come un mero protettore di suoi interessi, ma anche esternamente. È una dimensione che risulta perfettamente concorde con l’immagine di guida spirituale che vuole affidare al suo Paese, anche se poi gli indicatori economici mostrano chiaramente come in questi anni di governo le sue politiche economiche abbiano nettamente fatto gli interessi dei grandi industriali”.

Il feeling che Modi ha creato con larga parte della sua popolazione gli ha permesso di governare e costruire un’immagine fortissima dell’India a livello internazionale, sebbene nei dieci anni di governo le libertà civili dei cittadini indiani siano state in parte contratte, le proteste represse anche con la forza e la stampa soggetta a veti (gli indiani spesso dicono che è una necessità, altrimenti non si governano 1,4 miliardi di persone). L’India resta comunque una realtà vivace e Modi è stato anche in grado di superare le critiche riguardo al nazionalismo induista verso cui sta virando il suo partito (e in parte il suo governo) creando relazioni profonde con i grandi Paesi arabi. Ossia superando le contestazioni rispetto alla marginalizzazione della minoranza musulmana indiana.

Garantire e proteggere il proprio sistema democratico è cruciale per l’India, poiché questo è fondamentale per assicurare stabilità politica, crescita economica sostenuta, sicurezza interna ed esterna, e dunque produrre una politica estera efficace. Fattori che Modi rivendica come ragione della sua leadership. Tanto che il premier è il probabilissimo vincitore delle elezioni partite nei giorni scorsi, “anche se la storia ci insegna che in India non è mai detto fino all’ultimo giorno, con precedenti già esistenti”, aggiunge Bobbio. Che ricorda: “Il fatto è anche che non c’è una reale, capace, efficace opposizione politica. Anche perché l’Indian National Congress, il principale partito di opposizione, ha una struttura e una leadership fortemente indebolite, mentre le altre forze politiche sono più regionalizzate e faticano a creare fronte comune”. 

Per il professore dell’Università di Torino, nella sostanza da un lato c’è un leader nazionale come Modi, molto popolare nonostante inevitabili complessità e controversie, dall’altra una coalizione troppo fragile per contrastarlo. Ma facciamo un esercizio di fantapolitica, dovesse perdere cosa resterebbe dell’India attuale? “La dimensione strategica e il suo posto nel mondo”, risponde Bobbio. “Modi ha capitalizzato di semi gettati già prima di lui, che hanno favorito la costruzione dello standing globale dell’India, che resterà anche oltre Modi, perché è una dimensione positiva dell’India. Però questo dipenderà anche dalla stabilità interna, sia a livello economico che di coesione sociale, e dunque dal preservare la democrazia indiana”.

Questo è un elemento fondamentale per l’Italia e la sua partnership, che mira al presente quanto al futuro. Bobbio ricorda che il nostro è il Paese europeo che nel post-Brexit riceve la percentuale maggiore di immigrazione dall’India, con numeri in forte crescita, e anche questo muove le relazioni diplomatiche perché diventa un fattore di scambio culturale. A tal proposito, il docente aggiunge che mentre sono in crescitagli studenti italiani che imparano bene la lingua hindi e trovano facilmente lavoro in India, sono ancora poco sviluppati i corsi di italiano in India, mentre “quello linguistico sarebbe un settore da sviluppare per creare anche per l’Italia una presenza come hub culturale”.

Uno dei fattori di contatto riguarda anche il cosiddetto de-risking dalla Cina: “Con la crescita cinese e l’evoluzione delle relazioni con gli Stati Uniti, l’India diventa un partner importante per l’Italia nel settore delle produzioni e del commercio”. Tuttavia, affinché l’India possa davvero diventare il nuovo polo manifatturiero globale su cui molti puntano in questo periodo di tensioni geopolitiche e geoeconomiche, New Delhi deve iniziare ad investire in processi di riforma strutturale che ruotano anche attorno allo sviluppo del capitale umano, dunque nell’istruzione (più bassa della media di altri Paesi vicini), nella formazione ad alto livello e nell’inclusione lavorativa.

Per questo l’India accoglie le attività di cooperazione economica, securitaria e militare, tecnologica con Paesi occidentali, che diventano anche un metodo per superare il divario con la Cina, considerando anche che l’ascesa di Pechino ha creato frizioni pure con New Delhi – per esempio lungo il confine conteso himalyano o nell’Oceano Indiano. “Ciò nonostante, Modi nell’ottica del sostenere quell’immagine che ha costruito per il suo Paese ha rispolverato e modernizzato il concetto di multi allineamento, che lo porta a considerare il cosiddetto Occidente punto di riferimento per le proprie attività internazionali, ma rivendica le proprie relazioni strette con attori come la Russia o l’Iran”, spiega Bobbio.

Perché l'India di Modi è diventata così centrale. Risponde Bobbio

Per il professore Tommaso Bobbio, storico dell’Asia meridionale, Modi è riuscito a costruire un’immagine di leader spirituale globale attorno al suo Paese. Concetti come “il mondo una grande famiglia” o l’India “mother of democracy”, tanto quanto il valore universale dello yoga, sono ormai riconosciuti a livello globale come fattori che elevano la standing di New Delhi

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