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L’Indo-Pacifico riveste un ruolo strategico fondamentale a livello globale. Sono concentrate nell’area potenze economiche e politiche che segnano lo sviluppo del pianeta. Basti pensare all’India, che superando in abitanti la Cina è oggi il primo Paese del globo per dimensione demografica, con tassi di crescita economica tre volte superiori ai livelli europei e impegnata in un ambizioso programma di modernizzazione con mole significativa di investimenti in ogni settore, dalla manifattura, all’agricoltura e ai servizi.

La Cina tende a fare, sempre di più, dell’egemonia in Asia la base della sua proiezione mondiale e ha costruito una strategia di presenza in Africa e in America Latina che le consente di assumere la leadership del Global south. Pechino non è soltanto potenza economica, ma anche e sempre di più, un attore politico e anche militare, come evidenzia il contenzioso su Taiwan. Nel continente vale la pena citare i casi di Tokyo e Seoul. Il Giappone – a dispetto della crisi inflazionistica che lo ha afflitto per parecchi anni – permane un Paese di eccellenza nel campo tecnologico.

Mentre la Corea del Sud ha consolidato il suo profilo di Paese manifatturiero nelle tecnologie digitali con l’obiettivo di assumere una leadership nel campo dell’intelligenza artificiale. Sono attori dinamici della regione Australia e Nuova Zelanda forti del profilo “occidentale” e di robuste economie di mercato, che derivano dall’essere cresciuti nella cultura anglosassone e di essere tuttora attori importanti del Commonwealth britannico. E infine hanno assunto un peso economico e politico i Paesi del sud-est asiatico, dal Vietnam all’Indonesia. Peraltro, la guerra russo-ucraina e la frattura che si è consumata tra Mosca e l’occidente conferisce alla regione indo-pacifica un nuovo ruolo negli equilibri mondiali.

E non si può ignorare l’ambizione dei Brics – guidati proprio da India, Cina e Russia – di competere apertamente con l’occidente per la leadership mondiale. Il fatto che la regione indo-pacifica abbia un primario interesse strategico è peraltro sottolineato dalla grande attenzione che vi dedicano gli Stati Uniti. Dalla presidenza Obama – che lanciò Pivot to Asia – alla presidenza Trump, in un oscillante rapporto di collaborazione/competizione fino all’attuale presidenza Biden, gli Stati Uniti hanno considerato la regione come uno dei quadranti prioritari della propria strategia globale.

Tutto ciò sollecita l’Unione europea a dotarsi di una strategia adeguata. Se Parigi e Londra hanno rapporti con l’Indo-Pacifico che derivano dalla loro storia coloniale e la Germania, grazie alla forza del proprio sistema produttivo, ha acquisito un posizionamento rilevante negli scambi commerciali e nelle politiche di investimento, è l’intera Unione europea che ha oggi interesse a guardare all’Indo-Pacifico non solo per le opportunità di mercato che offre, ma come partner con cui affrontare le sfide globali, a partire dal cambiamento climatico e dalle politiche di decarbonizzazione e di riconversione ecologica.

Vale anche per l’Italia che ha il dovere di guardare alla regione con attenzione nuova avviata, ad esempio con il Piano d’azione italo-indiano ’20- ’22 sottoscritto dall’allora primo ministro Mario Draghi e dal presidente indiano Narendra Modi. Oggi è necessario dare un ulteriore seguito a quel Piano d’azione, considerando che l’India è impegnata in grandi programmi di investimento per la modernizzazione nei settori dei trasporti, della sanità, della politica industriale, che renderà il Paese un grande hub manifatturiero per il mondo intero.

Un insieme di progetti che rappresentano un’opportunità anche per l’Italia. Infatti il commercio e le dinamiche degli investimenti tra i due Paesi sono cresciuti significativamente. E già oggi – dopo la parentesi critica del Covid – l’interscambio commerciale italo-indiano ha conosciuto un incremento significativo e costante grazie alla presenza nel Paese di oltre seicento aziende italiane. Così ulteriori spazi di presenza italiana si sono aperti grazie agli Accordi di libero scambio sottoscritti dall’Unione europea con Giappone e Vietnam.

E se anche la Cina ha accentuato politiche protezionistiche a vantaggio della sua capacità produttiva, il mercato cinese offre in ogni caso livelli di domanda che il sistema industriale e tecnologico italiano ha tutte le capacità di soddisfare. Se sul piano economico l’Indo-Pacifico è un partner che offre enormi opportunità, più complessi sono i rapporti politici e i loro impatti per la stabilità e la sicurezza della regione e dell’intero pianeta. Taiwan è lì a testimoniare i rischi dell’aggressivo espansionismo di Pechino, che considera la regione “il giardino di casa” su cui rivendica e persegue una costante azione di forte egemonia e controllo.

Così come la Corea del Nord persiste in una politica di riarmo che rappresenta il fattore di destabilizzazione della regione. Non a caso per contrastare rischi di conflitti gli Stati Uniti hanno promosso forme di collaborazione politica e militare con le democrazie della regione. Nel 2005 Stati Uniti, Giappone, India e Australia hanno dato vita al Quad, rivitalizzato negli ultimi anni e aperto a una collaborazione anche con Canada, Corea del Sud, Nuova Zelanda, e più recentemente è nata Aukus, un’alleanza militare e di mutua assistenza trilaterale tra Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia.

Un’Europa che voglia dotarsi di un proprio sistema di difesa e sicurezza non può dunque non stabilire rapporti di collaborazione con la regione anche su questo tema. Insomma da ogni punto di vista la regione indo- pacifica si presenta come un attore primario del mondo globale. Quanto prima lo si riconoscerà, tanto più se ne trarranno tutte le potenzialità.

(Analisi pubblicata sull’ultimo numero della rivista Formiche)

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Se sul piano economico l’Indo-Pacifico è un partner che offre enormi opportunità, i rapporti politici e i loro impatti per la stabilità e la sicurezza della regione e del pianeta sono più complessi. Taiwan è lì a testimoniare i rischi dell’aggressivo espansionismo di Pechino. Così come la Corea del Nord persiste in una politica di riarmo che rappresenta il fattore di destabilizzazione della regione. L’analisi di Piero Fassino, vice presidente della commissione Difesa della Camera dei deputati

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