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Un rischio caratterizzato da una probabilità di realizzazione elevata è costituito da un andamento delle quotazioni petrolifere significativamente inferiore a quello utilizzato come riferimento. Lo scenario ipotizza che la discesa di fine 2015 sia un eccesso speculativo destinato in parte a essere riassorbito nel corso del 2016, e che i prezzi si assesteranno entro fine anno su livelli a metà strada fra il plateau del 2011-14 e la stretta gola del 2008-09. Tuttavia, non possiamo escludere che l’Arabia Saudita sia disposta a sostenere il costo di una fase prolungata di prezzi bassi come quella che ha caratterizzato quasi ininterrottamente il periodo fra il 1986 e il 2000, e più come misura di pressione contro l’Iran che per distruggere l’industria americana dello shale oil o per scoraggiare gli investimenti in energie rinnovabili.

Al di là delle ripercussioni ambientali negative, la prosecuzione della fase di bassi prezzi potrebbe essere associata a benefici netti trascurabili per i paesi avanzati, in quanto l’ulteriore miglioramento delle ragioni di scambio e l’aumento del reddito reale delle famiglie rischiano di essere compensati dal crollo delle importazioni dei paesi produttori. Sicuramente, il fenomeno accentuerebbe ulteriormente il ruolo della domanda interna nella generazione della crescita rispetto allo scenario di base. Stimiamo che il valore in dollari delle esportazioni verso i paesi produttori di petrolio sia calato nel 2015 del 23% circa rispetto al 2014 (nel secondo trimestre 2015 la variazione è già pari a -16,8% a/a), con una riduzione di circa 290 miliardi di dollari rispetto al 2013.

Per confronto, il valore delle esportazioni mondiali di petrolio è calato di circa 730 miliardi nello stesso periodo. Se i prezzi si collocassero in media a 33 dollari al barile nel 2016, la contrazione cumulata del flusso annuo di esportazioni verso i paesi produttori di petrolio potrebbe salire a 390-600 miliardi di dollari, con un ulteriore calo di 100-310 miliardi a seconda delle ipotesi (la stima di 100 miliardi assume un’elasticità uguale a quella stimata per il 2015).

Per l’Italia, nello scenario più mite ciò si traduce in un calo dell’export di circa 14 miliardi di dollari rispetto al 2013, di cui 3,6 nel 2016 e poco più di 10 miliardi già subiti; negli scenari più estremi, nel 2016 l’impatto negativo sarebbe pari a quello del 2015. Per confronto, nel 2016 l’ulteriore aumento del potere di acquisto delle famiglie oscillerebbe fra lo 0,5 e lo 0,7% del reddito disponibile nei maggiori paesi europei (quasi 6 miliardi per l’Italia, circa 13,5 miliardi in Germania e oltre 7 miliardi in Francia).

Ecco l'effetto del petrolio a basso costo per l'Italia

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