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Decine di raid aerei americani hanno permesso all’esercito iracheno, aiutato dalle milizie sciite al-Hashd al-Shaabi (il Fronte di mobilitazione popolare), di entrare a Ramadi. La situazione nel capoluogo dell’Anbar, la parte di territorio iracheno che si allunga verso la Siria, vede da un paio di settimane le forze alleate impegnate nello sforzo finale per togliere la città dal controllo dei baghdadisti. Un assedio in piedi da mesi, arrivato a quanto pare a conclusione, anche se permangono sacche di resistenza. La BBC ha diffuso la notizia che anche il compound centralissimo in cui aveva sede il governo provinciale, occupato dagli uomini del Califfato, è stato (più o meno) riconquistato dai soldati iracheni. Non senza difficoltà: l’avanzata, dopo che l’esercito era riuscito ad entrare nel centro municipale martedì, è stata ostacolata dalle mine nascoste nel terreno, dai cecchini appostati sugli edifici e dagli attacchi-kamikaze dei combattenti jihadisti. Si tratta di un territorio pieno di trappole, che si sono portate dietro distruzioni terribili causate dagli ordigni piazzati ovunque, e che grazie alla copertura aerea della Coalizione occidentale non s’è trasformato in una tomba con una carneficina di iracheni. Baghdad ha, e aveva, a disposizione sul posto un numero di truppe superiore di almeno dieci volte a quelle jihadiste, ma gli uomini del Califfo, al massimo quattrocento, hanno giurato fedeltà fino alla morte, sono più motivati e si erano asserragliati.

UN COLPO DURO

Si tratterebbe della peggior sconfitta subita dal Califfato negli ultimi 18 mesi, che contraddice i messaggi trionfalistici contenuti nell’audio di Khalifa Ibrahim diffuso in questi giorni. Di più, la sconfitta potrebbe essere proprio la motivazione dietro alla scelta temporale della diffusione: non è la prima volta che il gruppo fa uscire messaggi nei momenti di debolezza messaggi per stringere i ranghi e alzare l’umore di proseliti e combattenti. Esternazioni che spesso sono seguite anche da azioni e attacchi; per questo si segue con attenzione il pericolo segnalato per le principali città europee, bersaglio di possibili attentati di uomini legati al califfato.

L’IMPORTANZA DI RAMADI

Riconquistare Ramadi ha anche un peso simbolico. La città non è solo un crocevia per collegare due parti del sedicente Califfato, quella irachena e quella siriana. Il capoluogo dell’Anbar significa che ancora una volta i sunniti della regione hanno smesso di appoggiare il Califfo, hanno aperto spazio in modo centripeto alle truppe irachene (pur con enormi diffidenze verso i miliziani sciiti che le sostengono) e hanno lasciato isolati poche centinaia di baghdadisti al centro di Ramadi.

Alberto Negri, giornalista del Sole 24 Ore, ha commentato su Facebook che “la gestione politica della riconquista di Ramadi e le relazioni che saranno instaurate con i sunniti saranno un importante banco di prova per il governo a maggioranza sciita di Baghdad: gli errori del passato sono stati pagati duramente con l’avanzata dell’Isis”.

I RAID

Domenica, mentre circolavano le notizie sulla caduta delle aree centrali di Ramadi, l’account Twitter della Coalizione internazionale per la lotta allo Stato islamico a guida americana ha pubblicato il report settimanale degli attacchi aerei condotti tra Siria e Iraq tra il 19 e il 25 dicembre. Sono stati 119 gli airstrike che hanno colpito postazioni del Califfato sul suolo iracheno, mentre 44 hanno interessato il territorio siriano, soprattutto al nord, dove c’è da difendere il raggruppamento di milizie che sta cercando di isolare Raqqa, la capitale siriana dell’Isis.

MOSUL: IL CENTRO DEGLI AIRSTRIKE

Nonostante il culmine dell’offensiva in atto, Ramadi non è stato, secondo gli osservatori, il luogo dell’Iraq più colpito dalla Coalizione. Leggendo il report dei militari americani si osserva che su Mosul, la capitale irachena dello Stato islamico, sono stati condotti 45 airstrike, che hanno distrutto 143 obiettivi nelle aree cittadine e limitrofe; Ramadi è stata colpita da 31 attacchi aerei. La situazione a Mosul è difficile, l’Isis è tornato all’offensiva nel nord iracheno, dopo cinque mesi, per segnare la propria presenza, anche a seguito della distribuzione di soldati da parte della Turchia nell’area; circostanza che aveva creato anche una bega diplomatica con il governo iracheno: ora i militari turchi stanno lentamente rientrando verso Ankara.

Se si osservano le distruzioni a Ramadi, che impediranno ai civili di rientrare in città almeno nel breve tempo, si intuisce che se e quando toccherà a Mosul di essere liberata dal Califfato (che Baghdad vede come l’ultimo baluardo da togliere al controllo dei baghdadisti), ci si dovrà aspettare un’altra crisi umanitaria: Ramadi è una città di 450mila persone, molte fuggite (e in parte sfollate prima dell’inizio della fase finale dell’offensiva), mentre Mosul e il suo hinterland ospitano circa due milioni di abitanti.

Isis

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