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Per quanto presi giustamente dal Giubileo misericordioso dei due Papi, e meno giustamente dai calcoli dell’affluenza dei fedeli fra le imponenti braccia marmoree di Gian Lorenzo Bernini, in Piazza San Pietro, non dimentichiamoci di Rosario Crocetta. E del miracolo che a sua insaputa l’immaginifico governatore della Sicilia è riuscito a fare in Libia. Dove, salvo le solite sorprese di questi casi, si sono finalmente accordati i governi di Tripoli e Tobruk. Che dopo la morte di Gheddafi si sono sanguinosamente contesi senza esclusione di colpi, bassi e alti, il controllo – si fa per dire – del Paese.

Crocetta si è forse convinto di avere saputo precedere e bruciare il nuovo negoziatore, di nazionalità tedesca, nominato in Libia dall’Onu. Per non parlare di quello sfigato, a questo punto, del generale italiano degli alpini Paolo Serra, raccomandato da Matteo Renzi al segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon come l’uomo capace di mettere d’accordo tutti e di garantirne poi l’applicazione, magari anche con la dislocazione di un contingente internazionale da lui stesso guidato.

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Almeno quelli che non hanno la pazienza di seguire le cronache politiche, nazionali o locali, potrebbero chiedersi che cosa c’entri Crocetta con la Libia. Ebbene, ha voluto entrarci lui stesso di recente con un’intervista delle sue. In cui, rammaricandosi delle tante vertenze economiche in corso con il governo nazionale, che gli impedirebbe di dare il meglio di sé al vertice della regione, egli si era proposto come negoziatore, appunto, in Libia. Dove, forte della conoscenza della lingua araba, del Corano e di esponenti-chiave delle principali tribù di quella terra martoriata dalla guerra, egli sentiva di potersi muovere come nessun altro.

Informatisi delle credenziali e dei precedenti di Crocetta, e colpiti in particolare dalla capacità da lui mostrata a Palermo di cambiare maggioranze e un incredibile numero di assessori pur di restare governatore della Sicilia, in Libia capi e capetti debbono essersi chiesto se non fosse per loro più conveniente mettersi d’accordo da soli, e presto. Quello sarebbe stato capace di detronizzarli tutti, uno alla volta. E lo hanno proceduto restituendolo per intero ai suoi problemi isolani. Che sono d’altronde così tanti e tanto clamorosi da essere come chiodi che schiacciano chiodi.

Chi avrebbe detto, d’altronde, che Crocetta sarebbe stato in grado di resistere a quell’ondata di fango rovesciatagli addosso, addirittura con la partecipazione personale del presidente sicilianissimo della Repubblica, per una misteriosa intercettazione telefonica, smentita da tutte le Procure competenti, che lo voleva odiosamente silente, se non consenziente, all’auspicio di un medico amico che l’allora sua assessore regionale alla Sanità, Lucia Borsellino, facesse la stessa orribile fine del padre? Cioè, il magistrato Paolo, assassinato nell’estate del 1992 con la scorta sotto la casa palermitana della madre, meno di un mese dopo la strage, anch’essa mafiosa, di Capaci. Che era costata la vita all’amico e collega Giovanni Falcone, alla moglie e a quasi tutta la scorta che lo proteggeva nel trasferimento dall’aeroporto all’abitazione.

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Un altro capolavoro di Crocetta, ma decisamente alla rovescia, è l’affare, chiamiamolo così, della società “Sicilia e-Servizi”, che è poi il sistema informatico siciliano, da cui dipendono le prenotazioni sanitarie, la posta elettronica certificata degli uffici, il pagamento delle pensioni dei dipendenti e persino aspetti essenziali dell’anagrafe elettorale.

Nel 2013, sospettando che vi fossero troppi sprechi, Crocetta ne affidò la liquidazione ad Antonio Ingroia – chi se no? – reduce dal fallimento della sua scalata elettorale persino a Palazzo Chigi, e soprattutto dall’abbandono della magistratura, avendo ritenuto un declassamento offensivo la destinazione della Valle d’Aosta assegnatagli dal Consiglio Superiore dopo il naufragio politico.

In qualche modo emulo addirittura di Enrico Mattei, chiamato nel 1945 da Cesare Merzagora a liquidare l’Agip ma trasformatosi poi nel suo salvatore, tanto da farne il trampolino di lancio dell’Eni, Ingroia convinse Crocetta a rilanciare l’agonizzante società, diventandone amministratore delegato.

Ecco l’epilogo della vicenda, fra le indignate proteste dello stesso Ingroia contro i “ricatti” di una società privata creditrice di 114 milioni di euro: il blocco del sistema informatico in Sicilia, annunciato il 30 novembre. Proprio mentre Crocetta, non potendo più collegarsi con niente e nessuno, si proponeva di emigrare come mediatore in Libia.

La paradossalità delle circostanze, dei fatti e degli uomini è, a dir poco, impressionante. Direi pirandelliana, per rimanere in Sicilia.

Ecco le ultime piroette di Rosario Crocetta

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