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Il coraggio che Matteo Renzi ha adottato come slogan dei 2000 banchetti di partito allestiti in tutta Italia per mobilitare iscritti e simpatizzanti del Pd, alla fine di un anno che ha visto sofferente e distante la sua periferia, dovrebbe valere anche per cambiare registro nel dibattito interno. Dove certamente non manca la dialettica, per carità, anche se il segretario, e presidente del Consiglio, viene accusato di voler essere un uomo solo al comando.

Manca tuttavia la chiarezza, che solo il coraggio può garantire. Il coraggio di chiamare le cose con il loro nome, di rinunciare alle allusioni, di non nascondere un certo dissenso, che cresce anche fra gli amici o sostenitori di Renzi, per il timore di essere puniti con l’emarginazione. Il coraggio di consentire a noi giornalisti di capre e raccontare bene le cose alla gente comune senza dovere rincorrere i soli e soliti dettagli, e forzarne spesso l’interpretazione per la loro nebulosità.

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Ho raccolto di recente la confidenza di una signora della buona borghesia toscana radicatasi ormai a Roma che, conoscendo e stimando personalmente Walter Veltroni pur avendo spesso votato per il centrodestra, è rimasta turbata dalla risposta ricevuta all’annuncio datogli di voler votare la prossima volta per Renzi.

Pensava, la poveretta, della quale faccio solo il nome, Mimma, che mastica bene di politica leggendone assiduamente le cronache, e frequentandone spesso esponenti anche fra i maggiori per ragioni professionali, di raccogliere il compiacimento di Veltroni. Di cui lei considera peraltro Renzi non a torto un emulo, avendone raccolto la “vocazione maggioritaria” proclamata nella fondazione del Pd e nell’assunzione della guida, otto anni fa. Una vocazione peraltro che Renzi, secondo me, ha saputo sinora seguire più coerentemente e coraggiosamente di Veltroni. Che alle elezioni politiche del 2008, perdute forse proprio per questo a vantaggio di Silvio Berlusconi, pur avendo rinunciato all’alleanza con bertinottiani, vendoliani e simili, affossatori sia del primo sia del secondo governo di Romano Prodi, si apparentò inaspettatamente con Antonio Di Pietro. Al quale consentì così di tornare in Parlamento, per lasciarsene poi condizionare tanto rovinosamente da rimetterci in meno di due anni la segreteria del partito.

Ebbene, anziché trovarlo piacevolmente colpito dal suo arrivo fra le elettrici del Pd targato Renzi, la mia amica si è sentita dire da Veltroni, tra una firma e l’altra del suo bellissimo libro autobiografico Ciao, che “votare per Matteo non è reato”. Una risposta, francamente, un po’ freddina, almeno per una che si appresta a votare forse per la prima volta per il Pd, essendosi limitata in precedenza a votare Veltroni per stima e simpatia personale come sindaco di Roma. Cosa che peraltro è accaduto anche a me.

Richiesto di un parere perché sopravvalutato come esperto, non ho francamente saputo rispondere bene a Mimma. Alla quale, magari, se gli capitasse di leggermi, il comune amico Walter potrebbe dare una spiegazione diretta, non riuscendogli difficile identificarla con i particolari che gli ho fornito.

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Anche Sergio Staino, l’impareggiabile vignettista ammirato da generazioni di militanti comunisti, sembra stia perdendo l’entusiasmo per Renzi, che lo portò qualche mese fa ad un durissimo scontro con Gianni Cuperlo, l’antagonista sconfitto dall’allora sindaco di Firenze nella scalata alla segreteria del Pd. Scontro nel quale il fumettista dell’Unità si sentì accusato praticamente di avere tradito la sua storia di sinistra mettendo al servizio della politica di destra del presidente del Consiglio la propria arguzia e capacità di divertire e convincere il suo pubblico.

Il 27 novembre scorso Cuperlo ha potuto tornare a divertirsi con Staino vedendone la vignetta che commentava il fastidio mostrato da Renzi dopo un breve incontro all’Eliseo con il presidente francese François Hollande, che gli aveva chiesto aiuto nella guerra dichiarata al fantomatico ma pericolosissimo Stato Islamico: “Gli succede sempre quando tocca a lui fare qualcosa di sinistra”, ha fatto dire Staino, di Renzi, al suo Bobo.

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Non è stata certamente di sostegno a Renzi neppure la vignetta con la quale il 30 novembre Staino, sempre lui e sempre sull’Unità, ha dissentito dalle proteste del presidente del Senato Pietro Grasso contro le Camere, incapaci di eleggere tre giudici mancanti alla Corte Costituzionale. Egli ha fatto dire al “figlio” Bobo che bisogna “prendersela non col Parlamento ma con i partiti, che scelgono i candidati sbagliati”, come vanno sostenendo i grillini dai loro banchi di sistematica opposizione. L’elenco dei partiti si apre naturalmente proprio con il Pd per la sua consistenza politica e numerica. Il cui candidato alla Consulta, Augusto Barbera, è stato boicottato dai franchi tiratori della minoranza piddina, e rinforzi, perché considerato troppo renziano.

Sfide e travagli di Matteo Renzi

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