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“L’Italia c’é”, aveva tempestivamente, lodevolmente ma forse troppo ottimisticamente annunciato il presidente del Consiglio Matteo Renzi di fronte al sangue sparso a Parigi dai terroristi dello Stato ormai più temuto del mondo, riedizione di quello che, sotto la guida di Hitler, provocò la seconda guerra mondiale, con il suo milionario bilancio di morti. Solo che quello di Hitler era uno Stato vero, in carne e ossa, con le sue armate ben visibili, le sue ambasciate e tutto quello che serve, di solito, a rappresentarlo. Quello degli assassini di Parigi è uno Stato costituito solo da una sigla: Is o Isis. E’ uno Stato insomma che non c’è, ma fa più paura di uno che c’è, per la capacità dimostrata da ormai troppo tempo di seminare morte e orrore.

L’eccesso di ottimismo di Renzi, di cui tuttavia il presidente del Consiglio non è colpevole, deriva dalle reazioni al suo annuncio e alle sue iniziative, fra le quali l’opportuno incontro con tutti i capigruppo parlamentari, di maggioranza e di opposizione. Si è reagito, in particolare, e al solito, con troppe parole, troppe distinzioni, troppe polemiche, troppe accuse, troppe strumentalizzazioni anche del sangue di Parigi, la “nostra” Parigi, ai fini della lotta politica interna. Si è guardato più ai voti che si potrebbero guadagnare che alle cose che si potrebbe concorrere a fare. Si è insomma ripetuto lo spettacolo di sempre per la politica italiana.

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Purtroppo al desolante spettacolo dei politici, incapaci di guardare oltre la punta del loro naso elettorale, è corrisposto quello altrettanto desolante dei giornali, e in fondo anche delle televisioni, incapaci di fare parlare le immagini senza immergerle nei soliti salotti dove la competenza è inversamente proporzionale alla verbosità.

A nessun giornale, dico nessuno, è venuta l’idea di rinunciare a un titolo. Di uscire con la prima pagina non dico in bianco, come Walter Veltroni si è vantato sull’Unità di aver fatto quando la dirigeva lui, all’indomani dell’ennesima sentenza a vuoto sulla strage nella stazione di Bologna, ma con la o le foto più drammaticamente significative della tragedia procurata con deliberata barbarie dai terroristi islamici. Una prima pagina senza parole, insomma. Come senza parole molti sono rimasti in tutto il mondo vedendo sui teleschermi le scene di morte trasmesse da Parigi, e rinunciando quasi a sentire ciò che i telecronisti o commentatori dicevano.

Anche nella deplorazione, pur giustissima, dei terroristi islamici si è finito spesso per andare con le maledette parole ben oltre la verità, il realismo, la prudenza: chiamatela come volete. Gridare in un titolo “Islam assassino”, pur per aggiungere, con caratteri più grandi, che “non ci arrenderemo”, come hanno fatto al Giornale che fu di Indro Montanelli, non è un buon esercizio di logica.

Non è un buon esercizio di logica neppure quel titolone con il quale il Fatto di Marco Travaglio ha curiosamente completato gli errori contestati dal suo stesso direttore in una ragionata e tranciante rassegna degli altri giornali con la riduzione della guerra dichiarata al mondo intero dal fantomatico Califfato nero del terrore ad una sfida tra l’Isis che ha incluso Roma, oltre a Londra, fra i possibili obbiettivi dei suoi fanatici guerrieri, e il sostanziale annuncio del Papa che “il Giubileo si fa”. Che è una sommaria e bellicosa traduzione della raccomandazione di monsignor Fisichella, che segue per il Vaticano i preparativi romani, di non accumulare altri ritardi a quelli già provocati nei mesi scorsi dalle resistenze dell’allora sindaco Ignazio Marino alla chiusura della sua ormai fallimentare e goffa conduzione del Campidoglio.

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Fra i redivivi della politica interna dopo la strage di Parigi si segnala l’ex presidente del Consiglio Enrico Letta, già tornato nella città dove insegna da quando si è dimesso anche da deputato, dopo essere volato a Giakarta per raggiungere il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella, facendo venire a Roma brividi e cattivi pensieri agli amici di Renzi. Che ne temono la voglia di vendicarsi, prima o dopo, per i modi obiettivamente spicci con i quali fu allontanato da Palazzo Chigi quasi due anni fa dal segretario del suo partito, fresco di vittoria nelle primarie e nel congresso.

Letta jr, fra lo svuotamento dei bagagli asiatici, la partecipazione – si spera – ai cortei parigini di solidarietà alle vittime e di resistenza alla guerra dichiarata dai terroristi, un collegamento con Lilli Gruber a Roma e la visione delle trasmissioni televisive internazionali sulla tragedia di Parigi, ora “sua” sotto più aspetti, ha trovato il tempo e la voglia – beato lui – di scrivere un bell’articolo per la Stampa, che lodevolmente non lo ha mai perso di vista, salvo che a Giakarta. E per lasciarsi intervistare al telefono dall’Avvenire.

E’ stato tempestivo e indaffarato anche l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi, sul Sole 24 Ore con il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, e sul Messaggero con il suo abituale editoriale – va detto – della domenica.

Alessandro Sallusti e Daniela Santanchè

La guerra di carta all'Isis

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