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Sono state al curaro le ultime battute della campagna repubblicana nel New Hampshire, dove oggi si svolgono le primarie fra gli aspiranti alla nomination democratici e repubblicani: esteso un po’ più della Lombardia – meno di 25mila chilometri quadrati -, ma con nemmeno un milione 400mila abitanti, lo ‘Stato del Granito’, come viene chiamato, designa con il voto 22 delegati democratici e 12 repubblicani alle convention del prossimo luglio, meno di quelli designati la scorsa settimane dalle assemblee nello Iowa, rispettivamente 44 e 30.

I sondaggi diffusi nelle 24 ore precedenti il voto confermano i rispettivi vantaggi di Bernie Sanders e Donald Trump, anche se i loro rivali avrebbero un po’ ridotto i loro distacchi: Hillary Clinton è indietro di circa 15 punti (contro i 20 finora attribuitile), mentre il magnate dell’immobiliare è intorno al 30% e doppia i suoi rivali, con Marco Rubio e Ted Cruz al 15 circa. Anche John Kasich, Chris Christie e Jeb Bush sarebbero lì vicino. Le condizioni del tempo, nevoso come spesso qui d’inverno, pongono un’incognita sull’affluenza ai seggi.

Il New Hampshire, nel New England, una delle 13 colonie che fondarono gli Stati Uniti, è profondamente diverso dal rurale Iowa, nel MidWest: il sistema di voto nel New Hampshire è tradizionale e dà risultati più affidabili, in proiezione Casa Bianca, delle assemblee dello Iowa; e, soprattutto, il clima politico qui è liberal quanto quello dello Iowa è conservatore.

Per alcuni repubblicani che devono dimostrarsi ‘vivi, come Bush e Christie, questa può essere l’ultima spiaggia, mentre Trump ‘deve’ prendersi la rivincita sullo Iowa e Cruz e Rubio, invece, possono accontentarsi di galleggiare. E l’esito del voto è anche atteso dal magnate dell’editoria Mike Bloomberg, che deve ancora decidere se scendere o meno in lizza come indipendente: “Penso che il popolo americano si meriti di meglio”, ha ieri detto.

Il duello a distanza più acceso della vigilia è quello tra Trump e Bush. In un comizio a Manchester, lo showman ha definito l’ex governatore della Florida “un bambino viziato” e “un imbarazzo per la sua famiglia”, che lo sta aiutando in questa fase. In campo, sono scesi Mamma Barbara e il fratello ex presidente George W.: “Jeb sta avendo una sorta di esaurimento”, ha detto Trump. Bush ha subito contrattaccato, definendo Trump un “perdente”, un “bugiardo”, un “piagnone”, “un ipocrita” e “la peggiore scelta per la presidenza”, ricordando la sua inclinazione a bistrattare le donne, insultare gli ispanici, ridicolizzare i disabili e chiamare i prigionieri di guerra americani “perdenti”.

La mobilitazione familiare e i toni forti confermano l’impressione che il New Hampshire sia l’ultima spiaggia per la candidatura Bush. L’ex fist lady Barbara ne fa il panegirico nei comizi: “Mio figlio ha tutto quello che serve per essere un buon presidente, è il più buono, il più saggio, non ha paura, è leale, disciplinato, onesto”. George W. in uno spot assicura: “Mio fratello unirà il Paese e saprà mettere insieme il Mondo contro il terrorismo”.

Da registrare pure uno smacco per Sanders, che la American Legio, un’organizzazione di reduci fortemente conservatrice, ha diffidato dall’utilizzare i propri simboli nel materiale elettorale. Poco male – vien da pensare -, perché è difficile che un socio della Legione voti per Sanders, addirittura ‘socialista’.

Jeb Bush, tutti gli endorsement familiari

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