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Anche il Consiglio di Stato ha partecipato, a suo modo, alla campagna di persuasione su Ignazio Marino per fare prevalere la ragione sullo spettacolo reclamato dai suoi tifosi più sfegatati, che puntano sulla parte peggiore del suo carattere per fargli ritirare le dimissioni da sindaco di Roma e sfidare il suo partito a espellerlo (ma è ancora iscritto al Pd?, alcuni giornali dicono di no) e/o sfiduciarlo nell’aula del Consiglio Comunale. Dove il povero Giulio Cesare potrebbe perdere la pazienza e rovesciargli addosso la sua pesantissima statua.

Nelle remore delle riflessioni e delle minacce del sindaco dimissionario, il supremo organo della giustizia amministrativa gli ha dato torto marcio, smentendo una sentenza di primo grado del tribunale regionale del Lazio, sulla lotta da lui intentata contro il Ministero dell’Interno, e il governo più in generale, con l’apertura di un registro in Campidoglio per la registrazione dei matrimoni contratti all’estero da omosessuali.

Le proteste e le diffide del ministro dell’Interno Angelino Alfano e dell’allora prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro furono liquidate da Marino come bazzecole cavernicole.

Il sindaco rancoroso arrivò a pensare di poter convincere anche il Vaticano telefonando al segretario del Papa, secondo rivelazioni fatte dallo stesso Pontefice, ad avere una certa comprensione per i suoi doveri rigorosamente laici di sindaco di Roma alle prese con l’anagrafe. Ma il segretario in tonaca, sbigottito, gli sbatté il telefono, o telefonino, in faccia. E si guadagnò la conferma della fiducia di Francesco, giustamente convinto – come avrebbe poi detto ai giornalisti in aereo, di ritorno da un viaggio negli Stati Uniti – che per essere cattolici non basti professarsi tali ma esserlo davvero. Neppure il Sinodo sulla famiglia, d’altronde, ha aperto alle interpretazioni presuntivamente moderne del sindaco, almeno come credente, in tema di famiglia.

Può un uomo del genere aspirare a diventare sindaco di Roma, capitale insieme dell’Italia e della Cristianità, e a rimanervi a dispetto dei santi e dei non santi dopo essere stato costretto a dimettersi per una controversa faccenda di scontrini al ristorante? Su cui non è indagato, beninteso, neppure dopo quattro ore di “spontaneo” interrogatorio negli uffici della Procura, ma le indagini proseguono lo stesso. E non è detto che si possano o debbano fermare al livello delle solite, povere segretarie, o segretari, chiamati a mettere ordine nelle disordinate carte del sindaco, con un ritardo del quale, chissà perché, egli ha la strana pretesa di un doverne comunque rispondere., come ha fatto intendere ieri l’ex assessore capitolino Stefano Esposito sia alla Zanzara di Giuseppe Cruciani su Radio 24 sia da Otto e Mezzo di Lilli Gruber su La 7.

Se non si vuole arrendere al Consiglio di Stato, con le dovute maiuscole, Marino dovrebbe, o potrebbe, accettare almeno il consiglio, con la minuscola, dello Stato, con la maiuscola. E togliere finalmente il fastidio, ricordando peraltro che i Cola di Rienzo non fanno una buona fine.

Marino, le unioni gay e Cola di Rienzo

Anche il Consiglio di Stato ha partecipato, a suo modo, alla campagna di persuasione su Ignazio Marino per fare prevalere la ragione sullo spettacolo reclamato dai suoi tifosi più sfegatati, che puntano sulla parte peggiore del suo carattere per fargli ritirare le dimissioni da sindaco di Roma e sfidare il suo partito a espellerlo (ma è ancora iscritto al Pd?,…

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