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Fosse stata solo la Cina, poco male. Sono mesi che Formiche.net racconta di come il Dragone, più che un alleato di ferro, si stia rivelando una palla al piede per Mosca. Invece stavolta il pericolo arriva da altre parti, dalla Turchia, dal Golfo. Paesi amici dell’ex Urss, ma forse non troppo. Ed è ragionevole a questo punto pensare che le sanzioni imposte all’occidente stiano effettivamente funzionando. Succede dunque che i governi poc’anzi citati, soprattutto quelli di Pechino e Ankara, che da quando l’Europa ha messo sotto embargo il fianco est ricevono ingenti forniture di petrolio dalla Russia, stiano ritardando i pagamenti verso Mosca.

Con l’attacco all’Ucraina e lo scatto delle sanzioni, il Cremlino ha dovuto ripensare il proprio baricentro delle esportazioni, principalmente legate al gas e al petrolio. E Turchia e Cina sono diventate i nuovi sbocchi naturali. Solo che la paura di essere a loro volta colpite dalle sanzioni, per il solo motivo di continuare a intrattenere rapporti con Mosca, sta mettendo sotto pressione le banche, sia turche, sia cinesi. E così, parte delle entrate della Russia sono a rischio e non solo sul fronte cinese.

Come ha raccontato Reuters, infatti, diversi istituti in Cina, negli Emirati Arabi Uniti e in Turchia hanno rafforzato i requisiti di conformità alle sanzioni nelle ultime settimane, “provocando ritardi o addirittura il rifiuto dei trasferimenti di denaro a Mosca”. Tradotto, “le banche hanno iniziato a chiedere ai propri clienti di fornire garanzie scritte. E negli Emirati, le banche First Abu Dhabi Bank e Dubai Islamic Bank hanno sospeso diversi conti legati al commercio di beni russi”. Ancora, “la banca emiratina Mashreq e Ziraat e Vakifbank in Turchia e le banche cinesi Icb e Bank of China elaborano ancora i pagamenti ma impiegano settimane o mesi per elaborarli, ritardando i pagamenti verso la Russia”.

Tutto è partito dallo scorso dicembre, quando un ordine esecutivo del Tesoro americano, che nei fatti allargava lo spettro delle sanzioni contro la Russia. E infatti, “i problemi sono iniziati da dicembre, dopo che le banche e le aziende hanno capito che la minaccia delle sanzioni secondarie statunitensi è reale” ha detto una fonte commerciale interpellata da Reuters. “Ciò ha significato ritardi nell’elaborazione dei pagamenti verso la Russia, è diventata dura…A volte ci vogliono settimane prima che una transazione diretta tra yuan e rubli venga eseguita”. Un guaio, per Mosca.

Proprio nei giorni in cui i profitti delle banche dell’ex Urss sono scesi nel complesso del 22% a febbraio, rispetto allo stesso mese dell’anno prima, ovvero a 275 miliardi di rubli, su per giù, 3 miliardi di dollari. Questo, ha spiegato la stessa banca centrale russa i cui asset sono ormai stati confiscati dall’Europa e pronti alla liquidazione, per effetto del rallentamento dei prestiti concessi all’economia. Senza nuova finanza, niente nuove commissioni e interessi. Di più. Il grosso dei finanziamenti concessi alle imprese, è stato erogato in yuan, la moneta che secondo la logica di Mosca dovrebbe stravolgere il baricentro monetario globale, ancora ancorato al dollaro.

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