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Alla fine di maggio del 1940, la Germania stava vincendo la guerra e Hitler attendeva con calma la resa dell’Inghilterra. Dopo la disfatta di Dunkerque, sembrava avere le ore contate. Nel resto del mondo, silenzio: l’Urss stava a guardare tranquilla. Gli Stati Uniti erano lontani. Italia e Giappone stavano in agguato. Il grande storico americano John Lukacs ha spiegato perché il Führer non sferrò subito il colpo di grazia all’esercito britannico: attendeva l’esito del confronto, nel partito conservatore e nel governo inglesi, tra il ministro degli Esteri Edward Halifax, Neville Chamberlain (il premier che Winston Churchill aveva sostituito dopo l’occupazione nazista della Norvegia) e lo stesso Churchill (“Cinque giorni a Londra”, Corbaccio, 2001).

I primi due erano favorevoli alla ricerca di una soluzione diplomatica del conflitto, di un compromesso politico che permettesse un accordo di pace con il Terzo Reich. Churchill, invece, era contrario a ogni ipotesi di “appeasement” con i tedeschi. Il 28 maggio, quando giunse la notizia che il Belgio si era arreso, dichiarò (mettendo al tappeto i suoi nemici interni): “La nostra unica speranza è la vittoria […] o noi cesseremo di essere uno Stato”. Se non sbaglio, in quell’occasione coniò una delle sue più celebri battute: “Ci sono tre cose che possono rovinare un uomo: il gioco, le donne e gli esperti”. In ogni caso, con questa ferma convinzione morale e politica pronunciò quei “greatest speeches”, quei grandi discorsi che hanno animato la resistenza al nazismo fino alla sua sconfitta. Non c’è dubbio che l’Europa e il mondo intero debbano essere più grati al grande statista, che condusse la Gran Bretagna alla vittoria contro le Potenze dell’Asse, piuttosto che a un Primo Ministro imbelle come Chamberlain o a uno snob cacadubbi come lord Halifax.

Vengo al punto. So bene che le similitudini storiche hanno sempre un che di arbitrario, ma qualche analogia tra la lotta di allora contro il nazismo e quella di oggi contro il terrorismo islamista a mio avviso c’è. Almeno nel senso che nei governi occidentali attualmente abbondano gli Halifax e Chamberlain, e scarseggiano i Churchill (anzi, forse non ce n’è neanche uno).

Non desidero essere annoverato da qualcuno tra i gufi per mestiere, ma le nostre democrazie stanno rischiando molto. Non so Obama, ma Renzi conosce sicuramente l’aforisma di Karl Kraus: il debole dubita prima di decidere, il forte dopo aver deciso.

Ci vorrebbe un Winston Churchill contro l'Isis

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