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La politica saudita sui prezzi del petrolio comincia a scricchiolare. Riad sta progressivamente intaccando le proprie riserve monetarie accantonate nel tempo per alimentare la sua guerra all’industria petrolifera americana e riuscire, allo stesso tempo, a far girare il motore dell’economia. Ma evidentemente non basta. Ecco perché da qualche giorno la piazza finanziaria saudita si è aperta agli investitori e ai traders stranieri.

La borsa di Riad era una delle più chiuse al mondo: regole ferree di ingresso dei flussi gestite di fatto dall’occhio vigile e intransigente della Saudi Arabian Monetary Agency, la banca centrale saudita. Ora, l’apertura del Tadawul Saudi Stock Exchange permetterà alle aziende del Regno di alimentarsi direttamente attraverso capitali dall’estero. Quella di Riad è la borsa più grande del Medio Oriente. Le 165 società quotate valgono circa 570 miliardi di dollari, una cifra cinque volte maggiore della vicina borsa di Dubai, che capitalizza 97 miliardi di dollari. L’indice locale, il Saudi Arabia’s All-Share index, ha guadagnato il 15 per cento dall’inizio del 2015, uno dei migliori tra quelli dei mercati emergenti. Per ora, l’Autorità di borsa saudita ha ristretto l’accesso agli investitori istituzionali stranieri che gestiscono almeno 5 miliardi di patrimonio totale gestito e operano sul mercato da almeno cinque anni, ma il Ceo del Tadawul, Adel Al-Ghamdi, ha già dichiarato che questi limiti potrebbero cambiare in un futuro prossimo.

Secondo gli analisti di Hsbc, la mossa serve per contrastare la volatilità del mercato (ancora troppo agganciato alle fluttuazioni del prezzo del petrolio) attraverso l’impegno di investitori di medio-lungo periodo, con effetti positivi anche sugli attuali modelli di governance nelle assemblee. A parte cinque società che sono completamente riservate alla finanza islamica, trovandosi all’interno delle città sacre di Mecca e Medina (si tratta prevalentemente di società immobiliari e della compagnia nazionale di navigazione) il portafoglio è ricco, e non c’è solo il petrochimico. C’è Savola, gruppo alimentare in affanno, avendo perso il 23 per cento dell’utile nel primo trimestre del 2015 è in cerca di risorse fresche. Ci sono le banche, tra le cinque principali società quotate, due sono istituti bancari: Al Rajhi bank e la National Commercial bank. Molto attivi anche i titoli nei settori retail, elettrico e cemento. Quest’ultimo è un ambito d’interesse anche per il nostro paese. Rispetto alla capacità produttiva totale, circa 60 milioni di tonnellate annue, ma la domanda è ancora alta e i sauditi dominano il mercato del Golfo, detenendo una quota del 60 per cento. Entrare con un piede in quelle industrie, significa aprirsi una porta verso tutta la regione.

L’Arabia Saudita nel tempo ha sviluppato una grande economia di consumo che va sostenuta. La nuova generazione di sovrani, in testa il re Salman, intendono portare avanti le politiche di welfare dei predecessori: aumento dei salari medi, miglioramento delle condizioni di lavoro e dell’istruzione. Per farlo però non possono più sostenersi sui margini accumulati dal proprio fondo sovrano ma devono, seppur timidamente, diversificare capitali e ricchezza. Ci riusciranno? Difficile dirlo. Per ora gli analisti suggeriscono cautela. Dalle colonne del Financial Times, il direttore per il Golfo del fondo inglese Ashmore Investment Management, John Sfakianakis, ha detto di non aspettarsi nell’immediato un ingresso di investimenti robusti nell’immediato, i movimenti, semmai, saranno progressivi, anche per cercare di capire le reali intenzioni del governo saudita.

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