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Altri due “pezzi” del Jobs act Poletti (il decreto sulle forme contrattuali e quello sulle problematiche della conciliazione lavoro/famiglia) diventeranno leggi dello Stato. Inoltre, il Consiglio dei ministri ha sfornato, in un sol colpo, gli schemi mancanti per dare – una volta acquisito il parere delle Commissioni competenti – completa attuazione alla legge delega n.183 del 2014.

Quando si conosceranno i testi, sarà importante apprezzare ciò che il Governo ha inteso accogliere dei pareri espressi dalle Commissioni Lavoro, anche se è facile prevedere che l’esecutivo avrà preferito tirare diritto per la sua strada, dal momento che i due documenti parlamentari hanno seguito itinerari diversi, coerenti con l’orientamento – anch’esso differente – dei due autorevoli presidenti (Cesare Damiano alla Camera e Maurizio Sacconi al Senato).

E’ comunque evidente che i nuovi provvedimenti sono stati accolti con favore, non solo dagli osservatori internazionali e dai mercati, ma anche dagli operatori economici. Il dato fornito in questi giorni dall’Inps indica chiaramente un’inversione di tendenza rispetto all’utilizzo delle forme contrattuali, in quanto, nei primi mesi dell’anno, le assunzioni a tempo indeterminato (a tutele crescenti) superano di ben tre volte quelle a termine, che, da tempo immemorabile ormai costituivano la forma più apprezzata di assunzione da parte delle imprese, soprattutto dopo il venir meno, per l’arco temporale di 36 mesi, del vincolo/capestro della indicazione di una causale (verificabile in giudizio).

Si tratta di occupazione aggiuntiva oppure di contratti “precari” trasformati per incassare il ricco “dividendo” disposto dalla legge di stabilità (una decontribuzione di 8.060 euro l’anno per un triennio a beneficio delle assunzioni “stabili” effettuate nell’anno in corso)? Comunque sia, occorre riconoscere che si è aperta una fase nuova: un significativo bonus economico (il Governo troverà le risorse per confermarlo anche nel 2016?) si tiene insieme con una importante svolta sul piano normativo (una disciplina più flessibile ed ‘’europea’, per quanto riguarda il recesso).

Ci sono le condizioni, dunque, che la pur modesta ripresa economica in atto produca effetti più che proporzionali ed incoraggianti sul versante dell’occupazione. Fu così anche nel decennio 1997-2007, quando le aziende poterono avvalersi dei contratti flessibili introdotti dalle leggi Treu e Biagi.

Con molta apprezzabile accortezza il Governo ha avuto la mano leggera nel ridisegnare le nuove forme contrattuali, aggiustando ove necessario, ma senza mai dimenticare che un posto di lavoro regolare e regolato, benché non standard, è sempre meglio di un impiego inesistente.

Tutti gli ultimi (buoni) pezzi del Jobs Act

Altri due "pezzi" del Jobs act Poletti (il decreto sulle forme contrattuali e quello sulle problematiche della conciliazione lavoro/famiglia) diventeranno leggi dello Stato. Inoltre, il Consiglio dei ministri ha sfornato, in un sol colpo, gli schemi mancanti per dare – una volta acquisito il parere delle Commissioni competenti - completa attuazione alla legge delega n.183 del 2014. Quando si conosceranno…

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