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“Regalino per le banche”. È uno dei titoli che campeggiano in Rete per il provvedimento approvato ieri dal governo Renzi e che era stato preannunciato a Lucca dal viceministro dell’Economia, Enrico Morando, nel corso del convegno dell’Acri.

Le reazioni emotive sono comprensibili, ma non giustificabili. Vediamo perché. Ieri il consiglio dei ministri ha deciso la riduzione a un solo anno (dai cinque precedenti) per la defiscalizzazione delle perdite sui crediti e la semplificazione delle norme sul recupero delle garanzie sui prestiti inesigibili.

Negli ultimi 10 anni gli istituti di credito italiani hanno dovuto spalmare in 18 anni (o in 5 come deciso dal governo Letta) la defiscalizzazione delle perdite maturate in un solo esercizio. Un trattamento svantaggioso rispetto a tutte le banche degli altri Stati europei in cui le perdite maturate sui crediti in un anno sono computate fiscalmente nello stesso esercizio.

Questa distorsione, sommata al recupero faticoso (in media circa 7 anni) per incassare la garanzia su un credito in sofferenza, secondo le banche induce a restringere i cordoni del credito a imprese e consumatori. Si vedrà se queste misure avranno gli effetti sperati.

Ma di sicuro numeri e confronti mostrano che i provvedimenti non sono un regalino alle banche ma hanno una ratio sistemica. A beneficio, in verità, anche dello Stato, che è uno dei maggiori creditori, oltre le imprese commerciali.

Da tempo banche, istituzioni ed esperti del ramo mettevano in risalto come il quadro regolamentare e la crisi economica hanno moltiplicato il numero dei crediti in sofferenza, sia finanziari (banche-imprese) sia commerciali (fornitore-fornitore). Infatti i crediti in difficoltà o Non Performing Loans (NPL) sono cresciuti in Italia ad un tasso annuo del 20%, raggiungendo circa 350  miliardi a fine 2014.

Uno stock impressionante il cui recupero, in Italia, è particolarmente difficile, hanno rimarcato anche in recenti audizioni parlamentari sia l’Abi sia le maggiori banche. L’ultimo rapporto della World Bank, il “Doing Business 2014”, colloca l’Italia al 65° posto (tra i 189 sistemi economici analizzati) per l’impatto e l’efficacia delle disposizioni domestiche sulle attività commerciali, e al 103° posto con riferimento all’efficacia della tutela coattiva dei diritti dei contraenti.

Inoltre le attuali procedure – hanno sottolineato all’esecutivo banche e operatori del settore – non risultano ancora adeguate per favorire il tempestivo risanamento e rilancio delle imprese in difficoltà, e allo stesso tempo non rappresentano uno strumento di efficace tutela del creditore, ma in molti casi (come le procedure di concordato preventivo) vengono utilizzate come strumenti dilatori.

Inoltre, come evidenziato in un recente Working paper del Fondo Monetario Internazionale (“A Strategy for Developing a Market for Non performing Loans in Italy”, Nadège Jassaud/Kenneth Kang) pubblicato nel mese di febbraio 2015, oggi in Italia le procedure di gestione delle situazioni di insolvenza ex legge fallimentare, benché emendate numerose volte in questi anni, dovrebbero essere corrette in termini di semplificazione e velocizzazione.

Il governo, dunque, è venuto incontro a queste esigenze sistemiche. Come detto, c’è chi si straccerà le vesti e griderà populisticamente contro le banche affamatrici del popolo. E chi criticherà i super bonus e i super compensi e altro ancora (su cui peraltro vigila la Banca d’Italia).

Ma sarebbe masochistico aizzare gli animi contro una norma che tende ad avere un effetto benefico per tutte le aziende, non solo per quelle bancarie.

npl

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