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Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo un estratto dell’articolo di Domenico Cacopardo apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi

Il cielo si è fatto più scuro e minaccia tempesta. Benché Federica Mogherini sprizzi soddisfazione da tutti i pori, la strada nella quale ci stiamo incamminando con il consenso di Unione Europea e delle Nazioni Unite (mezzi consensi, rispetto ai quali le inespresse riserva mentali pesano come macigni) è disseminata di trappole mortali e di rischi per l’Italia e quel poco di prestigio internazionale che le è rimasto.

Nonostante le ultime decisioni (?) dei ministri degli esteri.

L’Unione sta definendo una politica fondata su quattro punti: ridurre gli incentivi alla migrazione irregolare; sicurizzazione delle frontiere esterne; protezione dei richiedenti asilo; nuova politica della migrazione legale. Già con i quattro punti si aprono questioni delicate per il governo italiano. Il primo affronta la riduzione degli incentivi, affermando in modo indiretto ciò che noi andiamo scrivendo da novembre 2013. «Mare nostrum» (sarebbe meglio dire «monstrum» per l’orrenda mostruosità delle stragi) e, in misura minore, «Triton» sono stati e sono supporto in mare alle bande che gestiscono il traffico umano. La riduzione degli incentivi alla migrazione irregolare, va letta insieme al chapter 7 della Carta delle Nazioni Unite che consente «ogni azione necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale». In sostanza una missione militare europea volta a prevenire il traffico di migranti a partire dalle acque territoriali e alle coste libiche. Si dice in giro che, la missione si fonderebbe su attività «mirate» di «commandos» nei confronti delle basi dei trafficanti e dei loro natanti, su un certo numero di navi da guerra idoneo a sostenere lo sforzo.

È facile immaginare le situazioni: natanti difesi da miserevoli scudi umani. Ritorsioni nei confronti degli immigranti che non riuscirebbe a partire. Reazioni da parte della popolazione e delle milizie libiche, nei confronti dell’unica merce abbondante, ma deperibile di cui dispongono: le vite dei migranti. Sarà una sciagura se le operazioni militari saranno sotto comando italiano: assumersi la responsabilità di ogni vittima civile (e saranno tutte vittime civili, perché lo status di trafficante di uomini non è iscritto in nessun registro) porterà il governo italiano confrontarsi con una opinione pubblica incline a sottovalutare il problema immigrazione per elevati sentimenti umanitari, ben promossi da chi ha interessi concreti nel soccorso e nell’assistenza.

Certo, il comando italiano consentirebbe agli alti gradi della Marina, gli unici a possedere doti manageriali, di fregiarsi dei nastrini della campagna, con benefici economici e di carriera. Ma su queste esigenze della grande corporazione autoreferenziale che si chiama «Forze armate» non si può piegare (come accaduto molte volte nella Storia dell’Italia unita) una Nazione, mettendo in pericolo la sua immagine, il suo ruolo, la sua dignità internazionale. Il meno peggio sarebbe un comando a rotazione, con uno Stato maggiore internazionale, capace di attutire le pressioni degli ambienti più esagitati.

La protezione dei richiedenti asilo (punto 2 dell’Europa) nasconde spiacevoli verità. La prima riguarda i tempi che si prendono le autorità italiane per definire lo status di un immigrato. Passano mesi prima della decisione: migrante illegale o profugo politico. E poi, altri mesi per decidere sull’immancabile ricorso dell’escluso. La seconda è che consentiamo a questa umanità dolente di andarsene indisturbata in giro per l’Italia e, un po’ meno, per l’Europa. Domani, sotto controllo internazionale (europeo) sarà impossibile alle nostre autorità chiudere gli occhi di fronte alle pressioni del buonismo politico e religioso, entrambi fertilizzati dalle risorse che lo Stato getta in questa fornace senza fondo.

Su questa inimmaginabile inefficienza dell’Amministrazione, si appunta l’attenzione di Francia e Spagna, parimenti esposte nei confronti di flussi, ma ben più seriamente operative, mercé sistematici respingimenti: due nazioni che lunedì, a Bruxelles, si sono rifiutate di partecipare alla spartizione dei migranti cui sarà riconosciuto lo «status» di profugo. Vedremo che l’unico modo per ottenere il loro vitale consenso –senza il quale l’azione italiana e quella, modesta, molto modesta, di Federica Mogherini- sarà rafforzare il ruolo delle commissioni internazionali. Il vero e proprio commissariamento dei burocrati del ministero dell’interno.

Il quarto punto, una nuova politica della migrazione legale, è puro buonsenso da confrontare con le reali possibilità di concretizzarlo sul terreno. Si dice di un ufficio sperimentale in Guinea (equatoriale) con il compito di effettuare lo screening degli aspiranti all’Europa. Ma resta da capire cosa succede dopo. Con quali mezzi e quali tutele si muoveranno le imbarcazioni governative che condurranno i «legali» nel continente?

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