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Rileggevo, ieri, un bellissimo pensiero di Martin Luther King: “Un giorno la paura bussò alla porta. Il coraggio andò ad aprire e non trovò nessuno”. E come spesso capita, quando mi riabbevero alla profonda saggezza non-violenta del reverendo di Atlanta, ho avuto una sorta illuminazione. Sono stato riportato di colpo in Italia, a ottomila chilometri di distanza dalla capitale georgiana. Ho “visto” qualcosa di sottovalutato fino a quel momento: il peso che può avere la semantica in politica. Le parole, insomma, contano: sia quelle costose e scomode come Coraggio di King, che da noi purtroppo più nessuno usa; sia altre, più facili e più a buon prezzo. Roba insomma da outlet, da discount verbale: come per esempio Paura e Retorica.

Agli occhi di un innamorato della lingua italiana, e che di questa si nutre e ci vive da quasi quarant’anni, Paura e Retorica sono infatti le due parole – e insieme ad esse i rispettivi concetti sottostanti – che negli ultimi tempi mi sembrano aver preso il sopravvento nel dibattito politico. In verità non le pronuncia nessuno, ma le “usano” in molti come strumenti dialettici, pur se partendo da idee e punti di vista opposti, lontanissimi. E il paradosso è che il loro contrastante utilizzo finisce per trasformare gli avversari nei più insospettabili alleati. Quanto meno nel risultato; anche se, a ben guardare, a vantaggio di uno solo. E tra poco farò i nomi.

La Paura verso l’immigrato, nei confronti chi ha insomma la “grave colpa” di essere diverso per provenienza, per colore della pelle e come non bastasse anche per fede religiosa, l’ha diffusa e continua a diffonderla a piene mani il leader della Lega, Matteo Salvini. I numeri ci dicono che, quantomeno dal punto di vista del risultato elettorale, i fatti gli stiano dando ragione. La Paura, in fondo, è facile e conveniente da spacciare: cresce libera in natura; costa poco all’origine; non occorre e anzi è meglio non “tagliarla” o raffinarla troppo; la piazzi inoltre a buon mercato dove e quando vuoi e la sua resa, infine, è altissima in termini di profitto. Salvini, che stupido non è, lo ha capito benissimo e si tiene a debita distanza da altri concetti difficili da spiegare come per esempio quelli tecnico-economici o ambientali. Al massimo buttà lì un’altra parola facile da comprendere da parte di tutti – Tasse – e via che si va con il raccolto. Non più soltanto nella grassa, fertile e verde pianura padana, ma anche nella terra meno amica delle regioni un tempo monocromaticamente rosse.

Sul fronte “apparentemente” opposto al suo ci sono politici come per esempio il leader del Sel, Niki Vendola, o esponenti delle istituzioni come la presidente della Camera, Laura Boldrini, che pescano invece a piene mani nel serbatoio semantico della Retorica. Lo fanno partendo magari da punti di vista nobili e condivisibili da tanti – come quelli della tolleranza, dell’accoglienza, dell’empatia nei confronti di chi soffre – ma finendo puntualmente per strafare, per dire la frase o anche soltanto la parola di troppo. Con il risultato di prestare così il fianco alle facili contro-polemiche dal fronte avverso e di portare acqua proprio al mulino che gira e macina voti sull’altra sponda. Perché se è corretto prendere a cuore il dramma dei migranti – che dramma biblico è anche per colpa di quell’Occidente che ora gira loro le spalle – finisce con il risultare stucchevole e controproducente proporne quasi una beatificazione. Vale per gli immigrati, ma vale ancora di più quando si parla di Rom, dal momento che i fatti di cronaca sono appunto tali e non opinioni. Questo  anche quando sarebbe corretto – per quel che mi riguarda lo è sempre – non generalizzare.

L’irritazione che quella Retorica troppo spesso oltre misura produce nel già vasto popolo di chi si sente minacciato e insicuro, diventa così materia prima per nutrirne anche la Paura. E non è cibo buono: è ricco di ossidanti, di grassi saturi, di tossine, tutta roba che infiamma coronarie già provate, che ottunde i neuro connettori e non aiuta a elaborare un pensiero proprio, lucido e razionale. È roba che perdipiù finisce per arrecare danni alla stessa lingua italiana, utilizzando per esempio una delle sue parole più belle – buono – per tirarne fuori un recente neologismo usato sempre e soltanto in senso spregiativo: buonismo.

Ma il “cattivismo”, viene da chiedersi, non lo farà nascere nessuno?

@GuidoMattioni 

Salvini, Boldrini e la Retorica che nutre la Paura sugli immigrati

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