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C’è aria di revisionismo. Nel mirino del governo ci sono le due principali riforme strutturali adottate negli anni scorsi: da una parte la patrimoniale sulla prima casa e dall’altra l’elevazione a 67 anni dell’età pensionabile. La prima ha fatto crollare i consumi interni e gli investimenti nell’edilizia, la seconda l’occupazione giovanile.

E se il Premier Matteo Renzi si è esposto pubblicamente più volte sulla prospettiva di tagliare la Tasi sulla prima casa, l’Imu sui terreni agricoli e quella sugli impianti delle imprese fissati al suolo, fino a proclamare che il prossimo 16 dicembre si celebrerà il loro funerale, non è solo per una ovvia convenienza elettorale: dopo il successo degli 80 euro in busta paga, il flop della restituzione del Tfr e l’interminabile litania di numeri contraddittori sui risultati del Job Act e del contratto a tutele crescenti, c’è bisogno di un nuovo driver. Che ci sia la ricerca del consenso è innegabile, anche se difficilmente sposterà voti; che ci sia da discutere sulle coperture è ovvio; così come è ben noto ci sarà da superare il dissenso di principio della Commissione e della Banca d’Italia, secondo cui andrebbero innanzitutto ridotte le tasse sul lavoro e sulle imprese, visto che solo in questa maniera si renderebbe più conveniente e competitiva la produzione interna rispetto alla concorrenza internazionale.

Il fatto è che il modello di ripresa fondato sull’export si sta dimostrando sempre meno affidabile, così come la persistente volatilità delle Borse rende progressivamente meno attraente la prospettiva per le famiglie di affidare ai mercati finanziari tutto il loro nuovo risparmio. Anche la Bce ha dovuto riconoscere che siamo di fronte ai pericoli di un nuovo rallentamento: bisogna quindi correre ai ripari e dare fiato al mercato interno, alla domanda delle famiglie ed agli investimenti nel settore delle costruzioni, dalle opere pubbliche all’edilizia residenziale. Economia e finanza tornerebbero a braccetto privilegiando il versante interno, come una volta con l’acquisto di case ed i soliti mutui immobiliari. Si tornerebbe all’antico.

Più che una questione politica in senso stretto, la eliminazione della tassazione patrimoniale della prima casa risponde ad esigenze di politica economica e finanziaria. Per quanto riguarda il Pil dell’Italia, va rilevato che i dati relativi al primo semestre dell’anno sono molto meno confortanti di quanto sia stato dato a vedere: nonostante il +0,6% di incremento già acquisito, molto è dipeso dall’aumento delle scorte (+0,5% nel primo trimestre 2015, +0,4% nel secondo). La domanda estera netta, invece, continua a contribuire negativamente (con il -0,3% nel primo trimestre ed il -0,2% nel secondo). L’export si è dimostrato meno dinamico delle attese, nonostante il calo dell’euro (+0,6% nel primo trimestre e +1,2% nel secondo), mentre le importazioni stanno aumentando più velocemente (+1,7% nel primo trimestre e +2,2% nel secondo).

Gli investimenti fissi lordi, che pure erano aumentati dell’1,2% nel primo trimestre, sono caduti invece dello 0,3% nel secondo. Peggio ha fatto il settore delle costruzioni, passato su base congiunturale da un +0,3% ad un -0,8%. In termini tendenziali, misurati quindi rispetto ai corrispondenti trimestri del 2014, gli investimenti nel settore delle costruzioni sono diminuiti del 2,4% nel primo trimestre e dell’1,9% nel secondo. La contrazione complessiva è stata assai consistente: dai 169 miliardi di euro di investimenti registrati nel 2010 si è arrivati ai 131 miliardi del 2014 (-38 niliardi di euro, pari ad oltre 2 punti di Pil). Nel primo semestre di quest’anno, il totale degli investimenti in costruzioni è stato di soli 64,6 miliardi, con un trend che conferma la riduzione, trimestre dopo trimestre. Gli investimenti in mezzi di trasporto, che pure sono aumentati del 23% nel secondo trimestre dell’anno, sono ben poca cosa al confronto: nel 2010, valevano 18 miliardi di euro, rispetto ai 169 miliardi delle costruzioni. La spesa delle famiglie, a sua volta, è caduta dai 980 miliardi del 2010 ai 918 del 2014 (-62 miliardi, pari a 4 punti di Pil): se c’è bisogno di ridare fiato agli investimenti nel settore delle costruzioni, ancor più urgente è restituire potere d’acquisto alle famiglie.

L’eliminazione della tassazione patrimoniale sulla prima casa sarebbe lo strumento più corretto per aumentare consumi ed investimenti: non colpisce una rendita monetaria reale ma quella fittizia, teoricamente pari all’affitto che il proprietario evita di pagare a terzi. In concreto, si tassa il frutto dell’investimento fatto per acquistarla. Si percuote l’immobile, ma in realtà si incide sugli altri redditi del proprietatio, generalmente da lavoro, da pensione o d’impresa, già abbondantemente tassati. Al di là quindi di ogni teoria e dei confronti internazionali sulla tassazione immobiliare, occorre intervenire con un consistente sostegno alla domanda interna: se il prossimo decumulo delle scorte non sarà accompagnato dall’aumento dei consumi, si rischia una contrazione del Pil nel secondo semestre. E ciò avverrebbe nonostante la ottima stagione turistica di quest’estate, che ha beneficiato di consistenti afflussi dall’estero e della forte riduzione delle spese degli italiani recatisi all’estero (-7,2% e poi -7,7% nei primi due trimestri dell’anno).

Eliminare la Tasi sulle prime case e l’Imu agricola darà sicuramente una spinta ai consumi delle famiglie. Ma per quanto riguarda il settore delle costruzioni ci vuole un progetto, molto più ambizioso delle stesse grandi opere, che riguardi l’ammodernamento delle città, dei servizi, dei trasporti locali e delle reti. E’ il mondo di mezzo che serve a chi lavora, che vive tra un’autostrada, un divieto di sosta ed un bicamere e cucina.

Cosa serve all'economia oltre alla rottamazione della Tasi

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