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C’è anche il cambio ai vertici istituzionali europei dietro il nulla di fatto dell’ennesimo tavolo negoziale tra Serbia e Kosovo? Probabilmente sì, considerato che il nuovo tentativo dell’Unione europea di rafforzare i negoziati ormai in stallo tra i due Paesi si è infranto contro un muro. L’immagine delle sedie vuote su cui avrebbero dovuto accomodarsi il presidente della Serbia e il primo ministro del Kosovo è esemplificativa, anche perché è trascorso ormai un anno dall’ultimo incontro tra i rivali. Certamente si sono svolti incontri separati tra i vertici Ue e Aleksandar Vucic e Albin Kurti ma senza ottenere risultati. Ciò a tutto vantaggio dei super player esterni che puntano a cementare la destabilizzazione balcanica.

Stallo o crisi?

La fase di passaggio di incarichi e nomi in Ue non ha aiutato in questo senso: solo da pochi giorni infatti si sa che il nuovo rappresentante per gli affari esteri europei è la 47enne estone Kaja Kallas, già prima ministra, che non dovrà attendere le consegne da Joseph Borrell per comprendere il da farsi tra Belgrado e Pristina, dove verosimilmente la prima mossa sarà quella di riprendere in mano gli accordi di Ocrida per puntellare le falle in atto, come la disputa sulle targhe e l’attacco violento che c’è stato lo scorso settembre contro un monastero, quando vennero uccisi un poliziotto e sette terroristi facenti parte di un commando armato di 30 persone che si era barricata dentro l’edificio.

Qualche giorno fa le autorità serbe hanno vietato un festival che celebrava le culture del vicino Kosovo, il festival “Good Day”, che si svolge contemporaneamente nella capitale serba e in quella kosovara. Secondo il ministro degli Interni serbo Ivica Dacic “non saranno consentiti assembramenti” presso la sede del festival. Piccoli gesti che però producono grandi tensioni e al contempo grandi soddisfazioni tra i tifosi della destabilizzazione in quell’area, come Russia e Cina.

Il caso delle banche

Ad accrescere la tensione anche il caso che ha riguardato sei filiali di una banca con licenza serba, chiuse dalla polizia kosovara dopo il divieto del Paese sulla valuta del dinaro serbo. L’Ue ha stigmatizzato la decisione, sostenendo che con la continua assenza di alternative sostenibili, ci saranno effetti negativi sulla vita quotidiana e sulle condizioni di vita dei serbi del Kosovo. Secondo il portavoce Ue Peter Stano “l’operazione dimostra ancora una volta che le autorità del Kosovo danno priorità ad azioni unilaterali e non coordinate piuttosto che alla cooperazione con i suoi amici e alleati”. Però il governo del Kosovo si è difeso, affermando che i pagamenti ai serbi non sono vietati e potranno essere effettuati in euro.

Tensioni e calcio

Le tensioni balcaniche si sono purtroppo riverberate in Germania anche sui campi degli europei di calcio, dove slogan irripetibili sono apparsi tra gli spalti. Canti violenti, inni alla distruzione dell’avversario e rivalità regionali hanno creato malumore tra gli organizzatori e tra gli osservatori europei, che si illudevano di non dover gestire anche questo fronte. All’Uefa sono giunte centinaia di denunce da parte delle associazioni calcistiche dei paesi balcanici dopo gli striscioni incriminati. Alcuni tifosi croati e albanesi hanno cantato “Uccidi il serbo!”, mentre i supporters sloveni e serbi hanno gridato che “il Kosovo è il cuore della Serbia”, frase che nega al Kosovo la sua indipendenza, passaggio che rappresenta il cuore della disputa con Belgrado. Anche la stampa ha fatto parlare di sé in maniera negativa: un giornalista kosovaro è stato espulso dal torneo per aver mostrato un simbolo dell’aquila ai tifosi serbi a mò di provocazione.

A poco sono serviti provvedimenti, come le multe, visto che gli episodi non si sono fermati: l’Uefa ha multato con 10mila euro la federazione albanese e quella serba. Quasi 38mila euro dovrà pagare invece l’Albania per invasioni di campo e fuochi d’artificio.

Stallo o nuova crisi? Su Serbia e Kosovo l'Ue non può aspettare

Tra i due Paesi in eterno conflitto non potrà che esserci un lavoro diplomatico che si basi sugli accordi di Ocrida, finora l’unico protocollo concreto e tarato su esigenze e aspettative, ma il successore di Borrell dovrebbe avere chiaro in mente cosa fare già da oggi. L’alternativa è foraggiare lo status quo, che porta vantaggi a soggetti esterni come Russia e Cina

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