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Al di là del fatto che ovviamente non si chiamava “Porcellum” la legge elettorale approvata dal centro destra nel 2005, e che non si chiami “Renzellum” l’attuale legge elettorale fino ad ora chiamata Italicum, occorre cercar di costruire le più rilevanti continuità e discontinuità che caratterizzano queste due leggi elettorali, pur senza entrare in eccessivi dettagli giuridici.
La continuità sostanziale fra il “Porcellum” e il “Renzellum” consiste nel fatto che entrambe prevedono un molto sostanzioso cosiddetto premio di maggioranza. Cosiddetto è questo premio perché si è troppo a lungo oscillato – forse furbescamente – tra un premio previsto per formare una maggioranza e un premio da attribuire a una maggioranza che si è già formata nelle urne.

Questa continuità non costituisce un fatto esclusivamente formale o lessicale, perché nella sostanza si tratta di negare o affermare la volontà – forse costituzionalmente rilevante – che una maggioranza si formi o meno nelle urne.
Questo è il punto di continuità sostanziale tra l’una e l’altra legge elettorale probabilmente perché, nell’un caso come nell’altro, il leader politico del momento era consapevole di non rappresentare nelle urne una maggioranza popolare.
E non si tratta di una differenza puramente formale come talvolta sembra ritenere chi si richiama ai modelli britannico o francese o tedesco nei quali, per l’appunto, non esiste alcun premio di maggioranza pur consentendosi la piena legalità costituzionale per i governi che si formano proprio alla luce dei risultati elettorali.

Contrariamente a quanto è stato troppe volte affermato anche da Matteo Renzi, non è vero che solo con la nuova legge elettorale la sera delle elezioni si sa chi ha vinto, perché anche con tutte le precedenti leggi elettorali (da quella del proporzionale puro del 1948 al tanto vituperato “Porcellum”) la sera del voto si sa chi è primo e quindi si sa chi ha vinto.
La novità sia nel cosiddetto “Porcellum” sia nell’Italicum, che proprio per questa ragione è preferibile chiamare “Renzellum”, consiste nel fatto che in entrambi casi il primo partito ottiene una molto consistente quantità di seggi parlamentari che gli consentono di conseguenza di trasformare in maggioritario un governo potenzialmente minoritario.

Questa continuità è stata sanzionata dalla Corte Costituzionale allorché ha previsto che occorre comunque stabilire una soglia minima e dignitosa di partenza per ottenere il premio di maggioranza.
La Corte non aveva ritenuto che ci dovesse essere una maggioranza popolare per conseguire il premio di maggioranza, a differenza di quel che avvenne in occasione della cosiddetta “Legge truffa” del 1953 che prevedeva infatti che il premio fosse attribuito alla coalizione che avesse conseguito una maggioranza popolare.

Con l’Italicum si prevede infatti che occorre conseguire almeno il 40% dei voti popolari espressi (ma non quelli degli aventi diritto al voto, come invece è richiesto dalla Costituzione nel caso del referendum abrogativo), in mancanza del quale si procede a un ballottaggio tra le due liste che hanno conseguito più voti.
Non è detto se anche per questo ballottaggio occorra che le liste partecipanti ad esso abbiano conseguito una qualunque percentuale di voto rispetto ai votanti.

Si tratta di una questione molto rilevante di ordine costituzionale che dovrebbe trovare un esame attento da parte della Corte Costituzionale anche a prescindere dalle valutazioni che il Presidente della Repubblica farà in occasione della firma dell’Italicum.
Questo continuum tra “Porcellum” e “Renzellum” ha un’evidente spiegazione socio-politica: le leadership politiche sono sempre più nazionali e sempre meno conseguenti a una qualche lettura organizzativa dei territori, come anche le prossime elezioni – locali o regionali – dimostrano con particolare abbondanza.

Italicum? Meglio chiamarlo Renzellum

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