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Se l’emendamento approvato al Senato che inserisce l’air gun tra i reati ambientali dovesse passare in via definitiva anche alla Camera, e quindi diventare legge, “in Italia l’intero settore dell’offshore rischierebbe il collasso”. Parola di Renzo Righini, presidente di OMC srl (Offshore Mediterranean Conference), società composta da Assomineraria, Camera di commercio di Ravenna e Roca (Associazione operatori offshore). A un mese dal via libera a Palazzo Madama del ddl sui reati ambientali comprensivo di questa norma presentata da Gal e Forza Italia e sulla quale il Governo è stato battuto, dal comparto vengono lanciati appelli al Parlamento affinché torni sui suoi passi. Sul fronte politico, a fare pressing in questa direzione ci sta pensando da tempo l’ex vicepresidente della Provincia di Ravenna e attuale consigliere regionale dell’Emilia-Romagna, Gianni Bessi. Ma adesso sono anche le aziende e i sindacati a farsi sentire.

L’ITALIA SI DISTINGUE NEL VIETARE LE ESPLORAZIONI

Vietare l’air gun, spiega Righini a Formiche.net, “significa bloccare la ricerca di idrocarburi in mare in tutta Italia, perché le sanzioni previste sarebbero talmente alte che nessuno si sognerebbe più di fare qualcosa”. D’altronde, la previsione di una pena con la reclusione da uno a tre anni scoraggerebbe chiunque ad avventurarsi nei fondali.
Questa sofisticata (e contestata) tecnologia consente di individuare la presenza di idrocarburi nel sottosuolo marino sfruttando una sorta di arma (cannone) ad aria compresa che “spara” onde sonore, le quali poi tramite il loro eco di rimbalzo dal fondale rivelano la presenza o meno di giacimento di gas e di petrolio. Informazioni indispensabili per una compagnia petrolifera che deve decidere dove trivellare a caccia di risorse energetiche. “Ciò che potrebbe venire considerato reato punito dal Codice penale in Italia, in tutto il mondo consiste invece in una normale tecnica di esplorazione offshore” aggiunge Righini. A opporsi all’utilizzo dell’air gun, e ad aver spinto la maggioranza dei senatori a questa decisione, è stata innanzitutto una mobilitazione del fronte ambientalista, convinto che tale attività risulti dannosa per la fauna marina.

“RISCHIAMO DI PERDERE FINO A 15 MILIARDI DI INVESTIMENTI”

La vicenda di per sé è tanto semplice quanto preoccupante. “Senza poter ricorrere all’air gun nelle attività di esplorazione e ricerca nei fondali marini, le compagnie petrolifere se ne andranno immediatamente dal nostro Paese per lavorare altrove dove questa tecnica è ammessa – continua Righini -. E così inizierebbero a fare anche tante aziende italiane”. Senza dimenticare che “un intero settore economico che ruota attorno all’offshore rimarrebbe fortemente penalizzato”. Il presidente di Omc fornisce anche qualche cifra: “Rischiamo di perdere 10-15 miliardi di euro di investimenti, non c’è giustificazione a una tale scelta che fa perdere grandi opportunità di lavoro, ci sarebbe una ripercussione enorme sulle imprese e su tutto l’indotto”.

ANCHE I LAVORATORI PROTESTANO

“Ritengo fondamentale un ripensamento su questa decisione in merito all’air gun” dice Lorenzo Zoli, segretario della Femca-Cisl Romagna. “Se si conferma il divieto di ricorrere a questa tecnologia – continua il rappresentante dei lavoratori –, le compagnie petrolifere nazionali se ne andranno dall’Italia. Ci mettono un attimo, e questo per noi sarebbe drammatico. Ad alcune basta spostarsi di qualche decina di chilometri per arrivare al largo delle coste croate, dove queste esplorazioni sono concesse”. Come spiega Zoli, “rinunciare all’air gun oggi rende di fatto impossibile fare ricerche di giacimenti nei fondali sottomarini. Consideriamo poi che si tratta di un’attività svolta a 30-40 miglia dalla costa, nel mezzo del mare Adriatico dove non c’è certo la barriera corallina e senza i pericoli che vengono paventati da alcuni troppo presi da paure ancestrali”.

IL GOVERNO S’E’ DETTO PRONTO A INTERVENIRE

Nel corso della sua visita all’Omc 2015, la manifestazione internazionale dell’offshore svoltasi la settimana scorsa a Ravenna, la sottosegretaria allo Sviluppo economico, Simona Vicari (Ncd), ha spiegato che l’utilizzo del cannone ad aria per ispezionare i fondali marini in cerca di petrolio e gas “non è un reato in alcun Paese del mondo e non è reato in Italia, per questo motivo il Ministero dello Sviluppo ritiene sia da modificare il ddl sugli ecoreati”. E questo per “salvaguardare gli investimenti coniugando la tutela dell’ambiente”, visto che proprio in quell’occasione Confindustria aveva parlato di circa 10 miliardi di euro di stanziamenti previsti, o già partiti, in impianti e servizi upstream. Interventi che invece con questa nuova norma sarebbero a rischio. “La sottosegretaria ha preso impegni precisi a Ravenna, garantendo il superamento della situazione di stallo – chiosa Righini -. Confidiamo in una soluzione positiva e che venga stralciato quell’emendamento”.

Air gun, il grido di aziende e sindacati: no al reato

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