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Pubblichiamo il contributo dell’analista Andrea Margelletti, presidente del Cesi, contenuto in “Sbarchi? No, emergenza umanitaria”, il nuovo “Taccuino” di AmiciDem (area popolare e della sinistra riformatrice del Pd), che è stato presentato due giorni fa nella sede di Spin/Utopia. Il paper digitale è il terzo numero della collana, diretta da Giuseppe Fioroni e Luciano Agostini, pensata per divulgare e approfondire temi di attualità.

La Storia del bacino del Mediterraneo “allargato” è una storia basata sul fenomeno delle migrazioni e sull’interazione tra popoli, civiltà e organizzazioni sociali e politiche sia istituzionalizzate che non. Che si tratti di espansioni decise da un’autorità politica o di movimenti spontanei dei gruppi umani, tutte le migrazioni hanno in comune una natura impositoria: ogni uomo che decide di lasciare la propria terra natia lo fa per migliorare la propria condizione. Può essere sete di potere o di ricchezze, ricerca di un futuro dignitoso, fuga dalla fame e dalla morte.

Senza alcun dubbio, la migrazione di cui è oggetto l’Europa ha nella seconda e nella terza ragione le sue cause scatenanti e fondanti. Se poi, per un attimo soltanto, si schiarisce la mente dalle seducenti nebbie del populismo e dell’irrazionale e pregiudiziale paura del diverso per affidarsi al lumicino di un ben più semplice ragionamento, si potrà cogliere l’evidente e spessa linea che unisce i fenomeni sociali e politici della sponda sud del Mediterraneo dell’ultimo quinquennio. Questa linea ha un nome ben preciso e si chiama dignità. Una parola dal profondo significato pratico in Africa e Medioriente, distante e avulsa dalle riflessioni pseudo-intellettuali da salotto buono delle decadenti capitali europee. Dignità vuol dire lavoro, vuol dire accudire la propria famiglia, poter rendere felice il proprio partner, sfamare ed educare i propri figli.

La Primavera Araba è scoppiata perché i popoli erano stati derubati di questa dignità da governi e classi dirigenti avide e auto-referenziali; le guerre civili scoppiano perché si è così disperati da affidare la propria vita ad un AK-47, i gruppi jihadisti ottengono proseliti crescenti perché offrono lavoro, educazione e commutano la rabbia e l’emarginazione in uno scopo. Perché, occorre dirlo anche se con vergogna, offrono dignità.

Naturalmente, c’è chi non vuole o non può né combattere né diventare un miliziano jihadista. In quel caso, l’unica possibilità è rischiare la vita in un viaggio verso la speranza di un futuro più sereno.

Solo la comprensione di queste dinamiche può aiutarci a capire come affrontare la questione dell’immigrazione. Non esiste alcun approccio securitario efficace che non consideri la dimensione sociale ed economica del problema.

Nel 1948, fu il Piano Marshall a consentire la ripresa europea e a evitare la proliferazione di fenomeni quali una nuova emigrazione massiccia verso gli Stati Uniti e a limitare l’ascesa al potere di movimenti comunisti che avrebbero trascinato l’Europa occidentale nell’orbita sovietica.

Allo stesso modo, oggi l’Africa avrebbe bisogno di un nuovo Piano Marshall europeo che permetta uno sviluppo diffuso e che contribuisca alla democratizzazione dei sistemi politici. In questo modo, restituendo dignità ai popoli locali, si estirperebbero le radici alla base dell’emigrazione, del reclutamento jihadista e della proliferazione delle attività criminali a essa collegate, prima fra tutti il traffico di esseri umani.

Se non si coopera con i governi e le società locali in maniera onnicomprensiva e trasversale, il dramma delle migliaia di disperati che sfidano il mare per approdare in Europa assumerà dimensioni ben più preoccupanti di quelle attuali. Rifiutare un simile approccio e limitarsi a pensare a strategie di breve termine incentrate unicamente su come gestire il flusso migratorio anziché su come eliminarne le cause è come pretendere di ripararsi da un monsone utilizzando un ombrellino da sole.

Andrea Margelletti
Presidente CeSI – Centro Studi Internazionali 

Immigrazione, serve un Piano Marshall europeo per l'Africa

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