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Se l’affidabilità dell’Italia venisse valutata dai suoi alleati solo in base alla vicenda Muos, la situazione sarebbe gravissima e purtroppo, in parte, già lo è. Oggi il Consiglio di Giustizia Amministrativa di Palermo ha dato l’ennesimo colpo al sistema di comunicazioni satellitari situato a Niscemi, in provincia di Caltanissetta, rinviando all’8 luglio la decisione sul ricorso presentato dall’Avvocatura dello Stato, per conto del ministero della Difesa, contro la sentenza del Tar del capoluogo siciliano che ha giudicato irregolari le autorizzazioni concesse per la realizzazione della struttura.

Un tempo lunghissimo, in cui sarà impossibile accedere al sito posto sotto sequestro e che – per molti osservatori ed esponenti politici – non tiene conto tanto delle esigenze di sicurezza del nostro Paese, quanto degli accordi internazionali stipulati dall’Italia, oltre a costituire un fortissimo elemento d’imbarazzo per Matteo Renzi, proprio alla vigilia del suo primo viaggio da presidente del Consiglio alla Casa Bianca.

Per Gianpiero D’Alia, già ministro per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione nel governo Letta e oggi presidente della Commissione Bicamerale per le questioni regionali, questo ennesimo ostacolo nuoce soprattutto alla Penisola: “Al di là delle legittime preoccupazioni sanitarie della cittadinanza, fugate tra l’altro dal governo centrale e dall’Istituto Superiore di Sanità – , spiega a Formiche.net il deputato siciliano – è assurdo bloccare i lavori per la realizzazione di un presidio di sicurezza così importante non solo per gli americani, ma anche per il controllo del Mediterraneo in un momento così delicato”, come dimostrano il caos libico e le migliaia di sbarchi incontrollati sulle nostre coste.

Il rinvio, di per sé dannoso, è stato accompagnato come sovente accade in questi casi da una manifestazione del movimento No Muos proprio davanti alla sede del Consiglio, in un clima non consono alla decisione di temi così rilevanti, che attengono alla sicurezza nazionale, che è poi il vero nocciolo della questione.

Poche settimane fa era stato il politologo Angelo Panebianco, editorialista del Corriere della Sera, a riportare all’attenzione pubblica il caso del Muos. Il Mobile User Objective System è un sistema di difesa satellitare che il governo Usa ha deciso, d’intesa con le autorità italiane, di installare anche nel nostro Paese. Si tratta di un programma di comunicazione satellitare a banda stretta di nuova generazione del Dipartimento della Difesa per sostenere le operazioni militari Usa e Nato in tutto il mondo. Un’opera importante per l’Alleanza Atlantica, che è solo una parte di una costellazione di quattro satelliti operativi, di cui due negli Stati Uniti e uno in Australia, che consentiranno di rivoluzionare le comunicazioni militari e coprire l’intero pianeta, oltre che di accrescere in modo rilevante la capacità di individuare pericoli, in un momento storico in cui le minacce a pochi chilometri dalle nostre sponde (Stato Islamico, caos libico e non solo) non paiono mancare. In questo senso, l’impianto ha una grande valenza tecnologica e strategica e rafforzerebbe ulteriormente il ruolo centralissimo della Penisola nel quadrante euromediterraneo.

Nel suo commento Panebianco evidenziò come l’intera vicenda ponesse almeno tre aspetti “sconcertanti”. Il primo è che “la nostra sicurezza nazionale (di cui gli impegni con l’alleato americano sono un’essenziale componente) sia appesa alle decisioni di Tar e procure); che tali decisioni “siano prese sotto la spinta di un mobilitazione cosiddetta ambientalista”; e, soprattutto, “il silenzio delle nostre autorità nazionali”, che perdura.

Sembra invece arrivato il momento – aggiunse Panebianco – di “stabilire finalmente quali confini non possano e non debbano mai essere attraversati, superati, dalle magistrature, in quali ambiti siano soltanto i governo nazionali (in virtù di un mandato elettorale) a decidere, aiuterebbe a impostare politiche di sicurezza più efficaci”. Solo così si potrà porre fine a quella che da più parti viene ormai identificata non solo come una pagina triste della nostra storia politico-giudiziaria, ma come l’ennesima vergogna italiana.

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