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L’accelerazione impressa da Matteo Renzi sulla riforma elettorale è al centro di critiche sempre più aspre provenienti dalla grande stampa. Contestazioni che si aggiungono alle resistenze e ostilità manifestate dagli avversari esterni e interni al Partito democratico.

Per capire più a fondo le ragioni della strategia promossa dal premier alla vigilia della riunione del gruppo del Pd alla Camera dei deputati e in vista dell’inizio dei lavori previsto venerdì nella Commissione Affari costituzionali di Montecitorio, Formiche.net si è rivolta a Roberto Giachetti.

Parlamentare del Nazareno molto vicino all’ex primo cittadino di Firenze, nel maggio 2013 presentò una mozione per il ripristino del Mattarellum. Testo respinto dalla grande maggioranza dell’Assemblea per volontà del vertice del Pd capitanato a quel tempo da Pier Luigi Bersani.

È possibile apportare modifiche alla legge come richiesto dalle minoranze del Pd?

La direzione nazionale del Partito democratico ha stabilito con chiarezza che il testo deve restare inalterato. Peraltro già vi sono stati cambiamenti rilevanti – in buona parte corrispondenti alle istanze della sinistra interna – tra la versione scaturita dal Patto del Nazareno, le regole approvate in prima battuta alla Camera, la legge varata dal Senato. Passaggi parlamentari ulteriori metterebbero a repentaglio il via libera alla riforma.

La pattuglia di parlamentari democratici contrari alla legge comprende circa 100 persone. Il rischio di una clamorosa bocciatura con il voto segreto prende corpo.

Ritengo che i numeri saranno differenti. È già accaduto che molti rappresentanti del Pd manifestassero un’opinione differente rispetto al gruppi dirigente. La mozione che presentai per ripristinare il Mattarellum fu firmata da 70 deputati del Nazareno e portata nella riunione del gruppo parlamentare. Che la respinse a maggioranza seguendo le indicazioni contrarie dei vertici. A quel punto tutti, compresi i sottoscrittori dell’iniziativa, si adeguarono e votarono No nell’Aula di Montecitorio.

Il governo potrebbe ricorrere all’extrema ratio della questione di fiducia per evitare trappole nel segreto dell’urna?

La scelta, legittima poiché prevista dalla Costituzione e dai regolamenti parlamentari, spetta al governo. È un tema di opportunità politica, che riguarda anche i rapporti interni alla maggioranza. Personalmente preferirei un percorso legislativo normale.

L’editorialista del Corriere della Sera Antonio Polito ha scritto che il premio di maggioranza non esiste in nessuna delle grandi democrazie europee con l’eccezione della Grecia. E che a fronte di un unico partito egemone produce un coacervo di sigle frammentato e impotente.

Restiamo nell’ambito di rispettabili punti di vista. Prendere decisioni spetta alla politica. È arduo trovare l’unanimità dei pensieri. Ma l’alternativa era non realizzare nulla. E restare con la legge Calderoli, bocciata dalla Consulta perché incostituzionale, o con il proporzionale puro frutto di quella sentenza. Meccanismo che crea il pantano assoluto. Vi è peraltro un elemento singolare.

Quale?

Il Corriere della Sera matura soltanto ora la consapevolezza dei limiti del premio di maggioranza. La differenza, rilevante, è che con il Porcellum – meccanismo con il quale Polito fu eletto parlamentare dell’Ulivo senza avanzare critiche – il bonus scattava con un voto in più. Adesso entra in vigore se viene raggiunta una soglia precisa di voti o tramite un turno di ballottaggio.

L’alternativa poteva essere una riforma istituzionale semi-presidenziale fondata su un modello maggioritario uninominale a due turni.

Tesi che condivido profondamente. Tuttavia una revisione presidenziale, con tutti i contrappesi necessari, non è matura nel Partito democratico che in buona parte la rifiuta. Nonostante il doppio turno di collegio abbia rappresentato per tanti anni la bandiera del Pd. Vessillo che in realtà è stato ammainato più volte sull’altare della ricerca di un accordo sulla legge elettorale. Lo fece il vertice del Nazareno nel corso della legislatura scorsa e nel maggio 2013, quando Bersani e il gruppo dirigente bocciarono la reintroduzione del Mattarellum.

Una parte della minoranza del Pd ha mostrato aperture verso il ripristino delle regole del 1993.

Ricordo che quando promossi uno sciopero della fame per giungere a una buona legge ritenevo il Mattarellum l’opzione migliore. Scelta, tengo a ribadire, respinta dagli stessi che oggi la ripropongono. Al contrario di quella di Renzi che mi appoggiò in quella battaglia, la loro è una posizione scarsamente credibile.

L’attribuzione del premio di governabilità alla singola lista e l’esclusione di apparentamenti nell’eventuale ballottaggio non rischiano di produrre formazioni eterogenee destinate a sfarinarsi in Parlamento?

Il rischio esiste ogni volta che persone differenti intraprendono un percorso condiviso. Coloro che si candidano con la stessa lista, simbolo e programma devono rispettare una responsabilità politica. Pur in mancanza di vincolo di mandato. Il conferimento del bonus di maggioranza alla singola forza favorisce un più marcato assorbimento in un contesto unitario. Mentre era molto diverso lo scenario delle coalizioni conosciute negli anni della seconda Repubblica.

Perché?

Si trattava di schieramenti in cui partiti, partitini e frazioni come quelli rappresentati nell’Unione del 2006 dal parlamentare comunista Franco Turigliatto tenevano in scacco un’intera maggioranza di governo.

L’eventualità di “listoni arcobaleno” attiene soprattutto al centro-destra frantumato e in crisi di identità.

Nessuna formula elettorale potrà surrogare alla mancanza di leadership e linea comune nel campo conservatore. Lacuna che spero venga colmata per il bene della democrazia italiana. Da radicale storico affezionato a un orizzonte bipartitico, ritengo vitale la presenza di due grandi offerte e opzioni politiche per i cittadini. È naturale che in ogni formazione vivano sensibilità differenti. Il punto di tenuta è che a un certo punto si decide e si rispetta la scelta assunta dalla comunità politica. Come nel caso della legge elettorale.

Con le nuove regole il Pd non rischia di perdere la propria identità riformista trasformandosi in “Partito della Nazione” candidato a fagocitare tutto?

Il problema fondamentale della nostra epoca è capire cosa sia il riformismo. Per me riformismo vuol dire produrre cambiamenti in uno scenario sclerotizzato da tempo. Nel quale i fautori della conservazione gridano al colpo di Stato o all’autoritarismo alle porte se vengono toccati i loro interessi. È innegabile oggi che l’azione del Pd presenti caratteristiche riformiste, dalla previdenza al lavoro, dalle istituzioni alla Pubblica amministrazione. Poi saranno i fatti e gli elettori a giudicare la bontà di iniziative che mettono in luce le nostre carenze e mancanze del passato. Ecco cosa provoca tanta inquietudine nel mio partito.

Tale strategia non mette in crisi il codice genetico del Pd?

No. Al limite può essere in contraddizione con i cromosomi della cultura comunista e democristiana. Ma rientra nella prospettiva di chi ambisce a promuovere una grande trasformazione progressista.

Il conflitto tra Renzi e la minoranza del Pd sulla riforma rivela visioni antitetiche di partito e governo?

Ritengo che sia in gioco il superamento della visione di “Pd pesante” e con marcata identità socialista. Una filosofia che ci portò a raccogliere il 25 per cento dei voti nel febbraio 2013, quando in controtendenza con il progetto originario del Partito democratico e per mantenere una verginità ideologica evitammo di allargare il nostro consenso. Walter Veltroni proponeva di andare oltre le tradizionali provenienze e aprirsi a un elettorato border line grazie a cui si vince nelle urne. La legge messa a punto da Renzi contribuisce a realizzare quell’aspirazione.

La riforma elettorale ha ricevuto l’adesione dell’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. È una scelta che potrà influire sul confronto interno al Pd?

Conservo come un tesoro personale la lettera che Napolitano mi scrisse al terzo mese di sciopero della fame. Documento in cui richiamava tutti alla responsabilità, e sollecitava le forze politiche a sbloccare un Gioco dell’Oca privo di approdo. L’ex Capo dello Stato ha accompagnato e custodito l’avvio laborioso di un processo riformatore inizialmente appoggiato da Forza Italia prima del ridicolo voltafaccia di poche settimane fa. Egli è persona con riconosciuta esperienza e lealtà istituzionale. Ma nel Partito democratico la possibilità di permeare le rigidità di posizioni ostili al premier sarà direttamente proporzionale alla loro genuinità.

Italicum, perché Area Riformista sbaglia. Parla Roberto Giachetti (Pd)

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