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Da quando, nel 2000, Alejandro González Iñárritu presentò il suo primo film Amores perros, era possibile intuire che sarebbe diventato un nome di successo. Sono passati 15 anni e in un colpo solo il regista messicano nato a Città del Messico ha vinto quattro Oscar con il film Birdman (2015). La sua ultima produzione cinematografica ha vinto le statuette più pregiate: migliore film, miglior regia, migliore fotografia e migliore sceneggiatura originale.

I TRE MOSCHETTIERI

Classe 1963, González Iñárritu è uno dei nomi più quotati nel mercato cinematografico, insieme con i suoi compagni di squadra e amici Alfonso Cuarón (vincitore dell’Oscar come miglior regista nel 2014 con Gravity) e Guillermo del Toro (più volte vincitore del Goya). “I tre moschettiere del cinema messicano”, come erano conosciuti alle prime armi, hanno sempre lavorato insieme, anche se in produzioni indipendenti. Con stile e linguaggi diversi, la loro amicizia ha sempre arricchito il modo di ognuno di fare cinema.

QUESTIONE DI EGO

Nel suo discorso di ieri González Iñárritu ha chiesto scuse ai connazionali messicani che ha dimenticato in questi anni e ha sostenuto che la maggior aspirazione di un regista è fare il suo lavoro nel miglior modo possibile. Il regista ha anche parlato dell’ego, una delle sue grandi ossessioni.

LA TRILOGIA DEL SUCCESSO

Nel 2007 González Iñárritu era nella giuria della 64° Mostra cinematografica di Venezia. Era molto emozionato dell’esperienza di scegliere chi avrebbe vinto il premio Leone d’Oro in quella edizione del festival più antico della storia. Aveva finito la trilogia con la quale si è fatto conoscere all’estero: Amores perros, 21 grammi e Babel. Tutti i tre film prodotti con lo stesso team: Guillermo Arriaga alla sceneggiatura, Gustavo Santaolalla per la parte musicale, Rodrigo Pietro nella fotografia e Brigitte Broch nella produzione.

IL LITIGIO CON L’AMICO SCENEGGIATORE

Con l’amico e collega Arriaga i rapporti personali e di lavoro sono finiti molto male, dopo che González Iñárritu ha criticato in una lettera aperta l’ossessione dello scrittore messicano di firmare da solo le sceneggiature. Dopo il divorzio creativo Arriaga ha scritto e girato il film The Burning Plain con Charlize Theron senza molto successo.

VOGLIA DI FARE CINEMA

Nella festa dell’inaugurazione del festival González Iñárritu non si è fatto vedere. Voleva accumulare energie per concentrarsi nell’impegno: “Sono molto emozionato perché è la mia prima volta come giudice e tutti i membri siamo registi, condividiamo lo stesso linguaggio. Sono pronto per intossicarmi. Se non esco vomitando sicuramente avrò molta più voglia di fare cinema”, mi ha confessato in un’intervista fatta in uno dei pochi momenti di pausa.

DIALOGHI CON OZPETEK

I pochi minuti di relax che i giudici si concedevano era comunque dedicati ai dialoghi sul cinema e la vita. Un giorno, all’uscita di una delle sale, González Iñárritu e il regista italo-turco Ferzan Ozpetek parlavano delle differenze nella qualità della marijuana in Turchia e in Messico.

I VANTAGGI DELLA FAMA

“La gente non lo immagina ma la fama è una fantasia. Il prestigio è qualcosa di diverso e va guadagnato come conseguenza del proprio sforzo. Il vantaggio che si conosca e sia apprezzato il proprio lavoro, avere un pubblico che ti segue, al quale interessa la tua opera, ti assicura il finanziamento per quello che verrà”, ha detto il regista. Dopo la trilogia del successo, González Iñárritu ha fatto il film Biutiful (2010) con Javier Bardem e un episodio di 11’9’’01, un lavoro sugli attentati del World Trade Center assieme a Ken Loach, Amos Gitai e Mira Fair.

IL PESO DELLE ASPETTATIVE

“Lo svantaggio è che si spera troppo del tuo lavoro futuro e questo gioca contro, crea pressione. Non si riescono mai a soddisfare tutte le aspettative”, ha spiegato.  All’epoca González Iñárritu mi ha confessato che lavorava su tre progetti diversi ma per scaramanzia non voleva rivelare gli argomenti: “Ancora non so quale finirò prima. Ti posso soltanto dire che in uno è presente la nostra America latina”. In questo momento il messicano è impegnato nelle riprese del film The Revenant con Tom Hardy e Leonardo DiCaprio.

CINEMA CHE STUPISCE

Secondo lui, il rapporto proporzionale tra mercato e produzione è molto precario: “Tutti i Paesi del mondo hanno una bassa percentuale di film che stupiscono. Si salva solo il 5% di quello che si gira, per cui è molto poco probabile che riescano a distribuirsi i migliori. Ho visto alcune cose di qualità in Brasile e in Argentina e possono dire che c’è poca relazione tra quello arriva ad un festival e quello che realmente si sta facendo”.

CONTRO L’INDUSTRIA DEL MERCATO

Ancora ignaro di quanto avrebbe dovuto ringraziare a quella industria del mercato cinematografico, González Iñárritu faceva un’analisi molto critica: “Quando dicono che il cinema è malato non si rendono conto che il problema è soprattutto nell’industria del mercato cinematografico. Quella percentuale di film buono è vulnerabile alla distribuzione. Ci sono così tanti attori, così tanti registi, che i buoni si perdono nel mare di informazione che si diffonde attraverso i media. Il cinema non è morto, è l’industria che è malata e contamina la percezione”.

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