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Non c’è giorno che i pentiti dell’ultim’ora sul buon funzionamento dell’euro o della politica di austerità non avanzino dubbi sulla possibilità di una sua rispondenza alle istanze di crescita dell’Europa e della resistenza del patto che unisce i Paesi membri. La stampa è invasa quotidianamente da riflessioni e proposte in materia, ma quasi tutte schivano il problema di fondo, ossia che deve essere eliminata la zoppia dell’UE muovendo verso l’unificazione politica.

Si ritiene ancora che essa sia possibile, ma non nell’immediato. Chi lo crede è in malafede. Si moltiplicano invece le sollecitazioni per arrivare all’unificazione fiscale che avrebbe quelle caratteristiche di viatico all’unificazione che avrebbe dovuto avere la cessione della sovranità monetaria e che, a loro dire, non ha funzionato perché mancava del coordinamento fiscale. Si evita però accuratamente di usare la definizione giusta: cessione della sovranità residua.

Essa viene presentata come un problema tecnico economico, mentre è un grosso problema politico di perdita della sovranità statale senza garanzie che essa funzionerà meglio a livello europeo; anzi con la certezza che ciò non accadrà ben conoscendo il punto di vista della Germania e le ben note posizioni della Francia in materia. Per quanto se ne sa, il patto che si delinea è tale da comportare implicitamente che la sovranità verrà esercitata da chi si comporta bene, leggi la solita Germania, mentre la perderà chi si comporta male, leggi la solita Italia.

Diciamoci la verità: se si dovesse realizzare la riunificazione fiscale, che anche la BCE di Draghi sollecita, la concezione dell’unione politica si trasformerebbe in colonizzazione solo apparentemente economica. In cambio, come fu per il Trattato di Maastricht e per il Patto di stabilità e sviluppo, i Paesi europei avrebbero un innalzamento del reddito potenziale di circa l’1% (dati opportunamente messi in bocca all’OCSE di Parigi). E’ il solito scambio certo per incerto. Per esperienza sappiamo come andrà a finire. Male.

A parte questa incertezza-certa, il fatto che un aumento del reddito potenziale dall’attuale 1-1,5% al 2-2,5% resterebbe al di sotto della crescita necessaria per riassorbire la disoccupazione, se l’adesione dell’Italia all’eventuale accordo di cessione della sovranità fiscale in cambio di una garanzia comunitaria sul suo debito pubblico, di cui l’Italia non ha necessità avendo patrimonio e risorse sufficiente per rimborsarlo, cosa non necessaria, o per rinnovarlo, cosa sempre possibile anche se onerosa con i chiari di luna del mercato internazionale, lo scambio sarebbe iniquo.

Se, secondo la voce raccolta dal sempre acuto giornalista Stefano Cingolani, la cessione verrebbe concordata con la concessione di un sussidio europeo alla disoccupazione (cosa peraltro improbabile, conoscendo i tedeschi), il gioco si farebbe pericoloso perché accentuerebbe la tendenza dell’Italia ad adeguarsi all’assistenza invece di impegnarsi a creare opportunità. Se Renzi dovesse offrire questo baratto tra sovranità residua e assistenza per aderire alla colonizzazione, forse la piazza lo applaudirà, ma la storia lo condannerà.

Scenari economici è stato l’unico centro di analisi e di discussione che ha sempre e chiaramente avvertito che l’attuale architettura dell’euro e dell’UE non funziona. Se esso in poco tempo è diventato il blog n.1 in materia economica e n. 3 sui temi generali significa che la gente capisce e a non capire sono le autorità e i loro lacché.

Ben ha fatto Antonio Maria Rinaldi a sottolineare che se i sondaggi danno ancora una maggioranza favorevole, ciò è dovuto al largo uso sia del terrore di ciò che accadrebbe se si uscisse dall’euro diffuso dalle autorità italiane ed europee e dalle stesse persone che oggi ammettono che così non si può andare avanti, sia della diffusione a larghe mani delle speranze – tipo Piano Juncker – che le cose possano cambiare, risolvendo il problema della disoccupazione e, soprattutto, del dualismo che affligge l’area monetaria europea non-ottimale (cioè produttrice essa stessa dei divari di produttività criticati).

Una democrazia che si fonda sul terrore certo e sulle speranze incerte non può sopravvivere. I problemi politici come l’Ucraina, l’immigrazione, l’Isis, sommandosi ai problemi della disoccupazione, la faranno deflagrare.

Credetemi, se a suggerire i rimedi e gestire i problemi sono gli stessi che ci hanno portato a questa situazione o che ora la criticano dopo averla sostenuta, come sta accadendo tra il plauso della stampa e la passività paurosa e speranzosa della gente, non si esce da questa situazione.

La storia ci insegna che, per cambiare i comportamenti, bisogna cambiare la teste.

Paolo Savona

(analisi uscita su Scenari Economici)

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