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È riapparso in pubblico ieri, dopo un’assenza di 10 giorni che aveva alimentato gossip di ogni genere. Dopo un rincorrersi di voci tra le più disparate, dalle preoccupazioni per la sua salute a un sospetto colpo di Stato, Vladimir Putin è tornato di fronte alle telecamere, a sorpresa, insieme al presidente del Kirghizistan, Almazbek Atanbaev con cui ha avuto un colloquio ufficiale a San Pietroburgo sul rafforzamento della cooperazione tra i due Paesi nei settori del commercio, degli investimenti e dell’energia.

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Ma in attesa di ricomparire sugli schermi russi, mentre tutto il mondo si chiedeva che fine avesse mai fatto, il presidente russo aveva già ripreso a giocare la sua “partita a scacchi” sul fronte internazionale. Come annunciato dall’agenzia Ria Novosti citando il ministero della Difesa russo, Putin nelle scorse ore ha dato ordine alla Flotta settentrionale basata a Murmansk e alle unità di paracadutisti di porsi in stato di massima allerta, nell’ambito di una serie di esercitazioni militari (non programmate) di sei giorni nell’Artico. Proprio a un passo dai confini Nato con Norvegia e Paesi Baltici, sempre più preoccupati dal clima di tensione con Mosca derivante dalla crisi ucraina. “Le nuove sfide e le minacce di sicurezza richiedono un ulteriore innalzamento delle capacità militari delle Forze Armate e particolare attenzione sarà riservata allo stato di fusione strategica di recente formazione delle forze nel Nord” ha spiegato il generale Sergei Shoigu.

TENSIONE INTERNAZIONALE

La situazione in Crimea – a un anno dal referendum che l’ha unilateralmente annessa alla Russia – è molto delicata e il clima di calma apparente è minacciato dall’atteggiamento russo denunciato dalla Nato. Secondo l’Alleanza, l’afflusso di armi provenienti da oltre confine ai separatisti non si è mai interrotto. Il clima è reso ancora più pesante da altri avvenimenti che hanno turbato l’opinione pubblica mondiale: l’assassinio dell’oppositore di Putin, Boris Nemtsov, i sospetti di un terremoto negli equilibri del potere governati dal presidente, uno scontro tra i servizi di sicurezza (Fsb) e il presidente ceceno Ramzan Kadyrov.

IL DOCUMENTARIO SULLA CRIMEA

Nonostante un’atmosfera di tensione crescente, Mosca in questi giorni si appresta a celebrare in pompa magna il primo anniversario del “ritorno in patria” della Crimea. E lo fa trasmettendo sulla tv di Stato il documentario “Crimea: the Road to the Motherland”, in cui Putin ripercorre gli ultimi giorni delle proteste sul Maidan e la fuga del presidente Viktor Yanukovich, nella notte tra il 22 e il 23 febbraio: “Fino al rovesciamento del suo governo non avevamo pensato al distacco della Crimea dall’Ucraina – afferma il presidente russo – ma la Crimea è storicamente nostra”.

LE ACCUSE AGLI STATI UNITI

Putin lancia poi nell’intervista, non si sa ancora quando effettivamente registrata, nuove accuse agli Usa per il loro ruolo nella crisi in Ucraina. Sono stati gli americani i “burattinai del colpo di Stato a Kiev” che portò lo scorso anno alla destituzione di Yanukovich, secondo il presidente russo. Gli Usa «hanno addestrato i nazionalisti» i quali volevano “rimuovere fisicamente Yanukovich”. “La vita dell’allora presidente ucraino era in pericolo, volevano ucciderlo, per questo la Russia intervenne e gli salvò la vita” spiega Putin. E racconta ancora: “Per noi era chiaro e ricevemmo informazioni che c’erano piani non solo per la sua cattura ma, preferibilmente da parte di coloro che avevano condotto il golpe”.

L’ALLERTA NUCLEARE

Non solo. La Russia, a detta del presidente Putin, era pronta a innalzare lo stato d’allerta nucleare se le tensioni di un anno fa attorno alla Crimea avessero preso una piega pericolosa. “Eravamo pronti a farlo – racconta -. Dissi francamente ai miei colleghi (occidentali, ndr) che la Crimea è nostro storico territorio. I russi ci vivono, erano in pericolo, non potevamo abbandonarli”. La decisione alla fine non fu presa perché Putin riteneva che “nessuno avrebbe voluto arrivare a un conflitto mondiale”. «Noi eravamo preparati al peggio, ma sapevo che non saremmo arrivati a tanto”, ha spiegato.

A fine febbraio 2014, Putin ordinò ai vertici dei servizi speciali e della Difesa di occuparsi anche della Crimea, dove furono inviate forze russe. Pochi giorni dopo, apparvero soldati senza simboli sulle divise, che presero il controllo di siti strategici. La Crimea fu “trasformata in una fortezza, con oltre 40 sistemi missilistici s-300 e una ventina di batterie mobili, insieme ad altre armi pesanti”, svela il presidente russo. Dopo la vittoria del sì al referendum sull’autodeterminazione, Mosca ratificò l’annessione della penisola il 18 marzo.

Ecco le ultime (guerrafondaie) bizzarrie di Vladimir Putin

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