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I sondaggi, si sa, lasciano il tempo che trovano. I segnali del consenso invece sono un’altra cosa: si percepiscono tra la gente, sono sentiti e diffusi nei cuori ben prima di essere verificati e trovati nella realtà. L’ascesa di Matteo Salvini è un fenomeno proprio di questo tipo. Non si può dire che sia una potenza inarrestabile e ineluttabile, ma sicuramente è una novità molto rilevante. Non soltanto la sua Lega si sta confermando forte nelle regioni del nord, ma anche il meridione non sembra disdegnare il progetto di un partito che si fa portatore di valori immediati, nello schema classico della destra tradizionale, le cui caratteristiche generali Michael Oakeshott indicava nel ”preferire il familiare allo sconosciuto, il provato all’inesplorato, l’attuale al possibile, il prossimo al lontano…”.

Il motivo del consenso crescente di questa forma interessante di neo conservatorismo all’italiana sta, in definitiva, nel saper far emergere un’esigenza brutalmente materiale che riposa nella gente comune, dandogli determinazione politica, e nel saperlo fare in corrispondenza alle peculiari paure, incertezze, inquietudini che sono specificamente e profondamente nostre in questa fase storica.

Ebbene, forse per questo non mi stupisce che osservatori collaudati di sinistra intelligente come Paolo Franchi dicano che nell’inedita e recente attestazione della Lega non vi sia nulla di anormale, o comunque molto meno scandalo di quanto non vi sia stato per anni in Berlusconi.

Questi, d’altronde, non ha perduto l’occasione di dimostrare il proprio singolare intuito, rilanciando, sull’onda che proviene dall’imminente fine, il 14 febbraio, delle sue personali limitazioni giudiziarie, la prospettiva di una battaglia politica comune proprio con Salvini.
In effetti un alleanza Lega – Forza Italia avrebbe due vantaggi indiscutibili: darebbe a Berlusconi un delfino già forte di suo, e darebbe a Salvini la legittimità di potersi chiamare leader di una coalizione di centrodestra con la benedizione del suo fondatore. Oltretutto, visti i marasma che Renzi sta vivendo a sinistra con Civati e Fassina, oggi ancor meno di ieri inseguire collaborazioni politiche che vadano oltre la contingenza amministrativa della pratica di governo col PD avrebbe senso tattico e strategico per i moderati.

Si può dunque affermare che per il centrodestra si apra così una stagione nuova e positiva?
Meglio essere cauti.
È difficile rispondere, infatti, a questa domanda prima delle future amministrative, le quali, tra l’altro, di per sé potranno dare poche indicazioni sugli assetti politici nazionali. Quello che è vero è però che attorno a Salvini si decideranno i destini non solo della destra italiana ma anche di quel centro che millenni fa Casini chiamava ‘alternativo alla sinistra’.

Bene, quindi, che nasca una saldatura piombata FI – Lega. Bene che in Italia si consolidi un’area di consensi possibili di tipo conservatore che escluda l’anti politica satiro-tragica del grillismo. La questione si sarebbe addirittura risolta del tutto se non fosse scoppiato lo scrupolo dell’area popolare, quella che ruota attorno ad Alfano, la quale si ripropone, sinceramente non si capisce su quali basi, la creazione di un velleitario territorio di mezzo, a dire il vero mai molto fortunato dalle nostre parti. Salvini, certo, sbaglia a dare il nome di persona al centrodestra incoerente attribuendolo d’istinto all’ex delfino di Berlusconi.

Anche la Lega avrà bisogno, infatti, pure di altri alleati. Ma certamente, dati i rapporti di forza e il fatto che in Lombardia e in Veneto l’NCD governa già con i leghisti, Alfano sbaglia ancora di più a non accogliere a braccia aperte la possibilità che Salvini gli mette sotto l’albero di Natale. Può anche non dirlo, ma almeno eviti di dire il contrario e di farsi espellere dal campo prima ancora che la partita abbia avuto inizio. Chiaro, no?

In politica l’importante è decidere, senza però essere pragmatici a singhiozzo, privilegiando, ad esempio, il territorio alle europee e poi rinunciando all’unica alleanza politica che abbia un minimo di logica e sia in grado di salvaguardare l’esistenza futura, la coerenza culturale e l’identità permanente del popolarismo. D’altronde se la questione è ideale, allora un partito che si chiama Nuovo Centro Destra non può pensare che il prefisso ‘nuovo’ trasformi il suffisso ‘centrodestra’ nel suo contrario. Se la questione è invece elettorale, allora a maggior ragione, finito il tram tram gestionale delle larghe intese, a sinistra, con o senza Renzi, non c’è spazio per le idee di Sacconi sul lavoro, per quelle sul genere e la vita della Roccella, per il socialismo craxiano di Cicchitto e men che meno per il domani del ex pupillo di Berlusconi. Se la questione, invece, è di spazi, i numeri parlano da sé: non dico che insieme si vinca a mani basse, ma distinti si sparisce di sicuro, e insieme si può almeno competere.

Guardando le cose, infine, da un punto di vista filosofico, possiamo dire che le remore che la Bindi ha per Renzi siano più giustificate di quelle che il NCD mostra di avere per la Lega. È la storia e la dottrina politica a dirlo, non io. La visione popolare è la traduzione in termini democratici e universali degli stessi valori che i conservatori sostengono in modo estremo e particolare: primato dei cittadini, difesa della sovranità nazionale, proposta di uno Stato sociale minimo e non burocratico, esigenza di una seria riforma delle istituzioni europee, aliquota fiscale ridotta al 15%, eccetera.

Dovendo lavorare in coalizioni eterogenee, bisogna contentarsi di stare con chi condivide con te gli stessi valori fondamentali, non necessariamente tutte le conseguenze politiche: in primo luogo che la democrazia sia la forma migliore di autogoverno dei cittadini, e non un insieme di leggi che sottraggono libertà e risparmi agli individui. Salvini, d’altronde, anche su persona e famiglia non sembra avere incertezze e lati oscuri. Il resto, dunque, o sono sondaggi o temporali ipocrisie o perfino qualcosa di peggio…

Il centrodestra nuovo non può guardare a sinistra

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