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Ieri il premier è salito al Quirinale. Secondo alcune ricostruzioni giornalistiche, il succo del discorso del capo dello Stato è stato il seguente: scordati le elezioni anticipate in primavera, qui servono riforme, legge elettorale per evitare un papocchio tra Camera e Senato, concordia con le opposizioni anche per trovare il mio successore quando presto (molto presto) mollerò anche se la prospettiva non ti garba, avrebbe fatto intendere in sostanza il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, secondo quanto si arguisce leggendo il quirinalista Marzio Breda. Così le ambizioni del premier mai sbandierate in pubblico, ma molto coltivate in privato, di un voto anticipato, hanno subìto uno stop (qui su Formiche.net il notista politico di lungo corso Francesco Damato spiega come e perché Napolitano ha gelato gli auspici di Renzi…)

Segnali non troppo rassicuranti arrivano anche dal Pd. Un po’ per il trionfale flop del partito in Emilia Romagna (qui tutti i numeri); un po’ per i bollori che crescono nel Nazareno per il Jobs Act (con inedite convergenze tra il sinistro Pippo Civati e il destro Francesco Boccia); un po’ per l’antagonismo sempre più spinto e presenzialista di Maurizio Landini e Rosy Bindi (tutto pronto per una Linke italiana?).

Pure l’ulteriore sfarinamento di Forza Italia, per i promotori del Patto del Nazareno, non è una buona notizia. Anche se per Renzi l’ipotesi di una leadership di centrodestra lasciata a Matteo Salvini è considerata dai democrat quasi come una polizza vita per Renzi a Palazzo Chigi.

Ma le preoccupazioni, più che dalle opposizioni, per il presidente del Consiglio arrivano dai tanto biasimati mandarini e burocrati di Stato, come il premier ama definire funzionari e dirigenti ministeriali. Però a furia di stilettate, di forcing, di consiglieri economici di Palazzo Chigi che dettano legge e mettono becco nei dicasteri, e di consulenti mandati al Tesoro sulla spending review per conto di emissari della presidenza del Consiglio con grande scorno dei ragionieri della Ragioneria, le tensioni diventano sempre meno controllabili, come descrive oggi la Repubblica in un articolo di Roberto Mania e Federico Fubini, che svelano tutto il trambusto tra dirigenti del ministero dell’Economia (tra dimissioni presentate, annunciate e in arrivo) e la presidenza del Consiglio. E con un direttore generale del Tesoro, Vincenzo La Via, sempre più defilato. Con effetti dilatori e atarassici piuttosto inediti, come hanno dimostrato le tensioni al vertice delle Ferrovie Italiane.

Peraltro il quadro delineato – secondo cui i rapporti tra Renzi e il ministro dell’Economia, Piercarlo Padoan sono ottimi e proficui – viene messo in forse da voci sempre più insistenti che non descrivono un panorama idilliaco, anzi.

Ma tanto basterà qualche tweet a risolvere tutto…

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