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È sempre molto difficile proporre una valutazione oggettiva del proprio tempo. Sappiamo questo fatto da sempre. Dante Alighieri nella Commedia fa tesoro di tale consapevolezza parlando del proprio come un presente difficile da decifrare, che sarà oltretutto giudicato sicuramente in modo diverso nel futuro. E anche noi dovremmo sempre essere prudenti quando diamo affrettatamente valutazioni troppo ottimiste o troppo pessimiste sul contingente.

Il mondo di oggi appare dominato soprattutto da una profonda assenza di ordine, un succedersi repentino e caotico di vicende senza logica, quasi che il caos, emerso dopo la fine del cosiddetto ‘secolo breve’, sia padrone di tutto, impedendo la nascita di un nuovo sistema mondiale. Proprio perciò ragionare costruttivamente sui possibili scenari che potrebbero sorgere prossimamente è tremendamente urgente e attuale.

Aggredire questo campo inesplorato di possibilità sarà oggetto di discussione e dibattito domani al Centro Alti Studi della Difesa in un convegno organizzato dal Cemiss, dalla Fondazione Magna Carta e dal Centro Studi Americani, con il patrocinio del Ministero degli Esteri e il supporto dell’Ambasciata americana e di FB & Associati.

Il tema è l’Occidente, ripensato per l’appunto nell’ottica dell’attuale disordine globale. Ad aprire la giornata vi saranno gli interventi di Giovanni De Gennaro, Rinaldo Veri e Pierfrancesco Sacco. Dopodiché sono previsti tre panel dedicati rispettivamente al ruolo dell’Occidente oggi, di cui discuteranno Daniele Fiorentino, Lucio Caracciolo, Anton Giulio De’ Robertis e Craig Kennedy; alla cultura italiana come Soft power, discusso dal sottoscritto insieme a Peter Chase, Beniamino Quintieri e Caroline Kanter; e infine alle relazioni euro – americane con la Russia, con i contributi di Paolo Messa, Guido Lenzi, Erik Jones e Stefano Silvestri. Chiuderanno i lavori Nicola Gelao e Gaetano Quagliariello.

Le attese complessive non sono riposte ovviamente nelle risposte, ma nella capacità di suscitare un serrato confronto di domande sul destino politico dell’area atlantica, stabilendo alcune coordinate che possano avviare una ricerca intelligente e un dialogo duraturo. E il fatto stesso che competenze tanto varie di tipo accademico, giornalistico, politico e diplomatico si riuniscano per confrontarsi costituisce già di per sé un segnale positivo incoraggiante.

È chiaro che il mondo in cui viviamo è complessissimo, non vivendo più delle certezze internazionali cristallizzatesi con la Guerra Fredda. Lo scenario internazionale oggi non prevede più l’esclusione di alcun protagonista dalle decisioni. La Cina e l’India, da un lato, la nuova Russia, dall’altro, e tutti i Paesi emergenti sono portatori di forza economica, umana e produttiva, ma anche delle rispettive specifiche identità culturali non sempre automaticamente compatibili con la democrazia. È questa la ragione principale per cui l’Occidente è contestato talvolta in un modo perfino violento, e patisce l’erosione e la costante perdita della propria identità.

La persuasione generale invece, che attraversa come un filo rosso i diversi punti di vista che si incroceranno domani al convegno, è che non solo oggi abbia ancora senso parlare dell’Occidente come realtà politico – culturale, ma che tale soggettività non sia né soltanto europea o né soltanto americana, ma atlantica: una sinergia eterogenea che è cruciale anche solo per immaginare un nuovo ordine globale di prosperità e di pace tra i popoli.

Il punto è la definizione in termini culturali di questo asse euro statunitense, costituito attorno ad una essenzialità multi identitaria che raccoglie valori solo apparentemente contraddittori come la libertà individuale e l’autodeterminazione comunitaria, tenuti insieme da un passato e un futuro in sviluppo permanente. La potenza dell’Occidente non è una pura alleanza economica e militare fine a se stessa, ma una visione umana organica che ne contraddistingue le gesta e ne ispira gli obiettivi di civiltà: una consapevolezza collettiva che si traduce nella coscienza di una missione da svolgere nel mondo e da diffondere con la propria mentalità e la propria presenza intellettuale.

D’altronde, le sfide attualmente palesate dai dirompenti e inediti estremismi religiosi e politici nel medio e nell’estremo oriente, nonché i dilemmi del grande continente africano, sono eccezionali. La salvaguardia di principi quali la socialità dell’economia, la partecipazione politica, il rispetto dell’ambiente e l’espansione della persona umana non possono essere smarriti, ma non possono neanche essere promessi senza il recupero e il contagio positivo dei costumi e degli stili di vita occidentali.

La grandezza dell’asse euro atlantico sta esattamente nel suo essere un positivo potere sotterraneo di tipo culturale, al cui interno svolge un ruolo fondamentale il nostro Paese. L’Italia, infatti, non soltanto è lo Stato fondatore dell’Europa ma costituisce, con il suo soft power artistico, letterario, economico e la sua creatività individuale, un hard power di raccordo e un anello geopolitico di congiunzione strategica tra l’antico e il nuovo continente, nonché una risorsa assoluta per tutta l’umanità.

Ripensare e riproporre, insomma, nel disordine globale il ruolo decisivo dell’Occidente, dunque, è parlare di democrazia, di sviluppo solidale, finanche di vera e propria sopravvivenza umana, ma è inevitabilmente parlare anche dell’Italia e della suo significato politico. Ma questa nostra legittima esigenza nazionale è impensabile senza che venga rafforzata subito la realtà politica stessa delle relazioni atlantiche. Gli Stati Uniti, in definitiva, sono figli dell’Europa tanto quanto l’Europa è anima degli Stati Uniti, e tutto questo conta soprattutto per l’Italia. Non a caso l’Europa di oggi è frammentata e debole e gli Stati Uniti hanno indebolito quella capacita di influenza internazionale che resta pilastro della pace e della libertà globale.

Ricominciare, in fin dei conti, a discutere di politica da qui è l’unico modo per non lasciare il nostro fragile Paese senza bussola e senza prospettiva, finendo per lasciare anche gli Stati Uniti soli e isolati. E ragionare su un futuro non atlantico dell’Europa è insensato almeno quanto pensare un Europa senza Italia e senza Mediterraneo.

Perché l'Occidente ha bisogno di più atlantismo

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