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Fuori gli operai delle “sue” cooperative rosse, gente che magari cinquant’anni fa sedeva con lui sui banchi di scuola. Dentro, gli imprenditori; meglio ancora se renziani e con poche simpatie per il sindacato, come Oscar Farinetti. In mezzo lui, Giuliano Poletti, il ministro del Lavoro che negli studi di La7 dichiarò di sentirsi “ancora comunista”, ma che nella sua città ha compiuto un gesto che difficilmente gli sarà perdonato.

Sabato pomeriggio, a Imola piove. Al teatro comunale è in programma un evento di Confartigianato. Deve intervenire anche Poletti, che qui gioca in casa. Davanti all’ingresso c’è un presidio di lavoratori; fischietti in bocca e bandiere della Cgil alla mano, protestano perché nel giro di pochi mesi potrebbero restare tutti senza lavoro. A manifestare sono una settantina, a rischiare il posto circa 630. Sono i dipendenti di due coop rosse simbolo del sistema economico imolese, quello dal quale il ministro Poletti proviene. La Cesi, settore edile e della cantieristica stradale, in liquidazione coatta amministrativa con i suoi oltre 400 lavoratori; quindi la 3elle, infissi e serramenti, 265 tra operai e impiegati, una richiesta di concordato preventivo e un punto interrogativo sui prossimi mesi. Due realtà per anni fiore all’occhiello dell’economia locale, due imprese a marchio Legacoop, l’associazione delle coop rosse dove Poletti è cresciuto professionalmente e che lui stesso ha guidato prima come presidente della sezione di Imola, quindi regionale e infine per 12 anni nazionale. Due cooperative collegate con un filo diretto alla filiera del Pci-Pds-Ds-Pd.

Il ministro arriva, i lavoratori chiedono di incontrarlo nella piazza antistante il teatro, lui preferisce evitarli ed entrare dall’ingresso secondario. Scelta di opportunità per evitare tensioni, si dirà, il breve confronto avviene in una sala interna dove l’esponente del governo Renzi riceve una sparuta delegazione di sindacalisti e lavoratori. Ma per gli operai resta lo smacco: Poletti si presenta nella sua Imola e non affronta il presidio dei dipendenti di imprese associate a Legacoop. Sceglie di evitarli, passa dall’ingresso secondario come potrebbe fare un politico qualunque. Ma lui era diverso, “lui era uno di noi” dicono dalla piazza tra delusione e rabbia che sfocia in insulti. Nessuno se lo sarebbe aspettato dal ministro “ancora comunista”, dall’ultimo segretario della federazione del Pci di Imola. E invece è successo, quasi a scavare ancora più a fondo, e proprio in una città simbolo del potere rosso, quel varco aperto dentro la sinistra da Matteo Renzi.

Si è trattato di un piccolo episodio, ma emblematico di una situazione: l’uomo forte della Legacoop arrivato al vertice del potere politico nel momento di maggior sofferenza delle cooperative rosse della sua città e con l’associazione che ha guidato per anni ora messa sotto accusa per l’amara sorte di alcune sue imprese associate. Quasi una nemesi della storia per un ministro del Lavoro chiamato a chiudere un’epoca, quella dalla quale è venuto, per tentare di aprirne una nuova.

Tutti gli attriti fra coop rosse e Poletti, l'ex uomo forte di Legacoop

Fuori gli operai delle "sue" cooperative rosse, gente che magari cinquant'anni fa sedeva con lui sui banchi di scuola. Dentro, gli imprenditori; meglio ancora se renziani e con poche simpatie per il sindacato, come Oscar Farinetti. In mezzo lui, Giuliano Poletti, il ministro del Lavoro che negli studi di La7 dichiarò di sentirsi “ancora comunista”, ma che nella sua città…

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