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Fiat? Vade retro Marchionne e il suo americanismo contrattuale. Alitalia? Si congelino i posti di lavoro e gli emiratini tornino pure da dove sono venuti. Gela? La raffineria Eni non deve chiudere e no alla riconversione.

No, no e no. Solo No. Più che un sindacato, la Cgil ormai si comporta come una bambina viziata che vuole tutto e dunque non si accontenta di nulla.

Per carità, ovviamente la confederazione di corso Italia si batte sempre il lavoro e pure per i pensionati. Anche oggi il segretario della Cgil, Susanna Camusso, ha tuonato, ovviamente contro il governo: “Bisogna fare una scelta sulle politiche del lavoro e bisogna smetterla di togliere lavoro“.

Ohibò. Ben detto. Peccato che le premesse non concordano con i fatti. I fatti, infatti, dicono che più che nuovi, competitivi, innovativi e moderni lavori la Cgil si batte per lo status quo.

E’ il caso della pubblica amministrazione: la riforma Madia, che di certo non è perfetta, viene presentata come una sorta di massacro sociale perpetrato con l’assenso di un altro torturatore di dipendenti statali, come Renato Brunetta

E” il caso della Fiat, dove la Cgil ha la faccia e le tesi di Maurizio Landini, l’antitesi italiana del Bob King americano.

E’ il caso di Alitalia, dove gli accordi in fieri sulla mobilità sono considerati dai camussiani misure selvagge di riccastri emiri, quando invece sono pratiche del miglior riformismo, come ha scritto oggi Pietro Ichino.

Ed e’ il caso di Gela. Dove, come si può evincere dai numeri e dalle tendenze del settore, l’impianto di raffinazione di proprietà dell’Eni non ha futuro. Può piacere o non piacere, ma il gruppo Eni non ha annunciato di smantellare lo stabilimento e dire addio ai dipendenti e alle circa tremila famiglie che vivono anche grazie all’indotto di Gela. No, il gruppo presieduto da Emma Marcegaglia e guidato dall’ad, Claudio Descalzi, ha detto che non licenzia nessuno ma riconvertirà l’impianto secondo le linee descritte in una intervista di un top manager del Cane a sei zampe al Sole 24 Ore e in dichiarazioni di Descalzi nel corso della missione in Africa lo scorso fine settimana.

Parliamoci chiaro: con tutta probabilità se l’Eni fosse stata del tutto sganciata dal Tesoro, quindi dallo Stato e dal governo, avrebbe chiuso la raffineria senza tanti complimenti. Invece senza avere un euro dallo Stato si impegna in un piano di riconversione tutto da seguire per verificare se sarà realizzato.

Ma sbraitare soltanto, protestare per infiammare gli animi, aizzare contro aziende e governo che decidono di non congelare posti senza futuro economico ma di scommettere su un nuovo progetto non e’ degno di un sindacato che per anni si è battuto per ampliare i diritti e che tende ora a castrare vecchi e nuovi lavori con strategie asfittiche, anzi nefaste.

Camusso, la Signor No che dice no pure a Gela

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