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Secondo Zack Beauchamp, su Vox, e Ben Hubbard, sul New York Times, lo Stato Islamico sta cominciando a perdere colpi, dopo che agli occhi di tutti la sua avanzata era sembrata inarrestabile. Le milizie curde al nord stanno reggendo – gli aiuti, e le armi, arrivati, sono stati fondamentali – e i raid aerei della Coalizione internazionale sono più mirati, centrati, incisivi.

L’IS sta frenando, non sta certo perdendo: sarebbe prematuro, limitante, stupido, parlare a questo punto di “sconfitta”.

La Battaglia di Kobane – si era detto di quanto fosse “cruciale” – può essere utilizzata come paradigma del conflitto. All’inizio l’avanzata delle forze del Califfato verso la città curdo-siriana era stata trattata con relativa importanza dal coordinamento militare delle coalizione “anti-IS”. Poi, con il crescendo dell’attenzione mediatica e con gli approfondimenti sulle analisi strategiche, pian piano sono aumentati gli attacchi aerei, e infine sono arrivati i rinforzi di terra dal Kurdistan iracheno.

L’intera battaglia contro il Califfo ha avuto un iter analogo: all’inizio dell’anno, quando ancora l’ISIS era una realtà della guerra civile siriana, nonostante l’avanzata in Iraq, l’interesse internazionale era molto limitato. Poi c’è stata la presa di Mosul e le conquiste di inizio giugno, e l’attenzione è iniziata ad aumentare, fino all’inizio dei raid e la strutturazione di una vera e propria forza di lotta al Califfato – con raid aerei in Siria e con l’invio di advisor sceltissimi a terra per addestrare e coordinare l’esercito iracheno e i curdi.

Centrale nei vari cambi di passo, l’atteggiamento della Casa Bianca: Obama, che inizialmente si era tirato indietro, pragmaticamente, con il tempo, e davanti ai fatti, si è trovato costretto a coordinare la risposta del “mondo libero” alle azioni di Baghdadi.

Tuttavia gli attacchi aerei non possono di certo essere considerati come decisivi: l’intensità è stata messa più volte in discussione, e in mezzo alle polemiche è finita pure l’efficacia di quelle bombe che spesso cadevano fuori bersaglio per la mancanza di “tracciatori” a terra. Su tutto, poi, ha giocato un ruolo importante la capacità di adattamento dell’IS, che man mano che i raid procedevano, imparava sempre più, e sempre meglio, come nascondersi e muoversi senza finire sotto le bombe.

Ma per le analisi di Hubbard i motivi dell’indebolimento dell’IS sono pure altri. Innanzitutto una questione di territorio: lo Stato Islamico ha preso già tutto quello che poteva, o almeno che gli era facile prendere. E cioè le aree a maggioranza sunnita, quelle che il settarismo di Maliki e il regime di Assad avevano isolato dal governo centrale, e che, in fondo, non hanno respinto il Califfo. Si è detto più volte, che senza il beneplacito delle realtà tribali (sunnite) locali, il Califfato non sarebbe nemmeno nato.

Da questo nasce un secondo motivo: attualmente alcuni di questi clan sunniti si stanno ribellando all’IS. Il Califfo ha risposto con crudeltà a certe situazioni – è il caso delle fosse comuni ritrovati nella provincia irachena dell’Anbar -, ma l’assenza dell’appoggio delle popolazioni locali, è un grosso ostacolo per l’organizzazione di Baghdadi.

Proprio l’Anbar è però la realtà di controtendenza, che testimonia come la situazione generale sia volatile. Nella provincia occidentale irachena, lo Stato Islamico si sta rafforzando (ha quasi il controllo dell’intero territorio). Dietro a questo ci sono due ragioni: la prima è storica, in quanto nell’area era radicato il terrorismo sciita di al-Zarqawi e la maggioranza della popolazione è sunnita, con posizioni integraliste; l’altra è legata al presente e in particolare a un uomo, uno di quelli che resterà nella storia di questa guerra, Omar al-Shishani, un comandate dell’IS di origine cecena, che è in grado di guidare il suo contingente meglio di chiunque altro.

E la Siria? Beauchamp scrive su Vox: «In Siria l’IS non sta affrontando lo stesso tipo di controffensiva che si trova davanti in Iraq. Ma sta soffrendo di una significativa ferita auto-inflitta: lo stupido e controproducente assedio di Kobane». Kobane, s’è detto più volte, è costato molto al Califfo in termini di energie: prendere la città ha ormai un valore solo simbolico – così come difenderla lo ha per la Coalizione.

Ma in generale, nonostante il rallentamento, diciamo pure il relativo indebolimento, non si può certo dire che la guerra all’IS ha cambiato verso. Nella zona di Aleppo, per esempio, le forze del Califfo hanno preso il controllo di diverse aree, di cui non ne avevano possesso in precedenza.

@danemblog

 

Lo Stato Islamico sta frenando la sua avanzata, in parte

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