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Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Goffredo Pistelli apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi

Giuliano Pisapia sente che gli stanno cambiando verso. Il sindaco arancione di Milano vede crescere il renzismo in Lombardia e si vuole assicurare la ricandidatura per il 2016, tutt’altro che scontata. Per questo ha insistito per incontrare non il premier, in molte faccende affaccendato, ma almeno i suoi proconsoli lombardi e milanesi e soprattutto il vecesegretario del Pd, Lorenzo Guerini, già sindaco di Lodi, uomo assai vicino al presidente del consiglio.

L’INCONTRO

L’incontro c’è stato lunedì scorso, benché richiesto da un paio di settimane, perché, come ha scritto la cronaca milanese di Repubblica, Guerini aveva sempre rinviato perché impegnato prima nei ballottaggi delle comunali. Con il deputato lodigiano c’erano Alessandro Alfieri, segretario regionale dei democratici e Pietro Bussolati, segretario metropolitano. Dall’altra parte, assieme al primo cittadino, il suo braccio destro Gianni Confalonieri, ex-deputato di Democrazia proletaria brianzolo che Pisapia ha messo su Expo, e Maurizio Baruffi, capo del gabinetto del sindaco e vero ambasciatore, in quanto simpatizzante renziano notorio, sino ad aver contribuito, con una donazione di mille euro, alla campagna del futuro premier delle primarie 2012, quella contro Pier Luigi Bersani.

L’AGENDA

E l’Expo era, in effetti, nell’agenda dell’incontro, essendoci molta preoccupazione, a Palazzo Marino, per i 134 milioni che mancano per potenziare il trasporto locale. Subito dopo, però, si è parlato delle prossime comunali.

UNA STAGIONE IRRIPETIBILE

Il sole del maggio 2011 non splende infatti più sulla giunta milanese. Allora, nel ballottaggio, l’ondata arancione del sindaco travolse l’uscente Letizia Moratti e piazza del Duomo fu teatro di una grande festa, in cui stavano assieme i «quartieri alti» e i centri sociali, i piddini e i comunisti unitari, tutti a festeggiare la liberazione del capoluogo dal berlusconismo, come anticipazione della cacciata di B. dal governo del Paese. Una stagione unica e irripetibile con Nichi Vendola che rivolgeva pensieri d’amore ai «fratelli Rom», arringando la folla in maniche di camicia che pareva Lev Trostkj, e la filosofa morale Roberto De Monticelli, a cantare l’indomani, sul Fatto quotidiano, le sorti magnifiche e progressive della rivoluzione gentile.

TANTE POLEMICHE E POCHI SLANCI

Pare un secolo e sono solo tre anni. Ormai un po’ più di 1.100 giorni, in cui le auliche visioni di quella massa sono sfumate nel grigiore dei patti di stabilità, nelle privatizzazioni parziali e stentate, come quelle di Sea, con polemiche e strascichi giudiziari, e le piccole polemiche ordinarie di maggioranza. Unici slanci: ridurre i fondi alle scuole paritarie, archiviare qualche buona sperimentazione scolastica come la S.Giusto, cacciare con ignominia Stefano Boeri, reo di essere insofferente alla disciplina e l’azzuffarsi di un assessore incline alle sparate, con Dolce & Gabbana per un’evasione fiscale non del tutto acclarata.

Un po’ poco per ripresentarsi ai milanesi. Anche perché, nel frattempo, il collante antiberlusconiano s’è sciolto fra gli anziani di Cesano Boscone, e nello scenario politico nazionale hanno fatto il proprio ingresso due personaggi che, nel maggio di tre anni fa, quassù non erano neppure percepiti: Renzi, appunto, e Beppe Grillo. Due storie politiche il cui sviluppo, nei tre anni successivi, rendono l’epopea arancione di Pisapia, così come quella di Luigi de Magistris a Napoli o di Marco Doria a Genova, cioè l’embrassons nous fra altoborghesi e precariato, uno stinto quadretto fine secolo.

LA RIUSCITA DELL’EXPO E’ ESSENZIALE

Pisapia lo sa e per questo parte per tempo. E per lo stesso motivo bussa a cassa con gli uomini di Renzi: la riuscita dell’Expo è essenziale. Se la manifestazione fallisse, il primo drammatico effetto domino sarebbe sulla città e sulla classe dirigente che è arrivata fin lì. Ma Pisapia insiste nel voler cominciare a parlare di elezioni comunali oggi, perché teme che, avvicinandosi troppo alla data, gli uomini del premier presentino il conto e chiedano di mettere uno dei loro a Palazzo Marino.

BASTERA’?

Chissà se basterà a Pisapia, per non essere inesorabilmente rottamato, l’intuito che dimostrò nel novembre del 2012, quando si precipitò con la consorte e qualche assessore ad applaudire Renzi al Teatro Dal Verme, quando l’allora sindaco tenne il suo primo comizio cittadino nelle primarie contro Pier Luigi Bersani.

Non esattamente un endorsement, ma certo un attestato di stima sbandierato ai quattro venti. Mossa azzeccata, bilanciata però, nei mesi a seguire, quando Renzi era stato sconfitto, da un paio di passi falsi. A gennaio, quando aveva deciso di rimpastare la sua giunta, scaricando la sua vice, la cattolica Maria Grazia Guida, Pisapia aveva lasciato al palo la giovane consigliera renziana Anna Scavuzzo che in molti vedevano pronta per l’assessorato alla scuola. A marzo, poi, la già ricordata cacciata di Boeri, col quale, dalla nascita della giunta era stata una schermaglia continua, un’ideale continuazione delle primarie di centrosinistra del novembre 2010, in cui, a sorpresa, Pisapia aveva prevalso. Ma in quel modo era stato messo all’uscio, il personaggio politico milanese che, nelle primarie nazionali successive, aveva più vigorosamente sostenuto Renzi, tant’è vero che uno dei primi atti del renziano Dario Nardella, da sindaco di Firenze, è stato arruolare l’archistar come consigliere personale e come ambasciatore culturale della città nel mondo.

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